Emanuela Ulivi 

Un’autobomba è esplosa ieri fuori dalla moschea di al-Raoudh, a Sanaa, all’uscita dei fedeli dalla  preghiera della sera, causando morti e feriti. E’ il secondo attentato contro una moschea sciita nella capitale yemenita, in mano ai ribelli sciiti Houthi da settembre scorso. Sempre nella giornata di ieri la coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha bombardato le posizioni dei ribelli e una tivù nei dintorni di Aden, roccaforte degli Huthi, provocando 124 morti. Questo il bilancio secondo le fonti dei ribelli, che riferiscono anche di 176 vittime in varie regioni dello Yemen lunedì scorso, tra i quali 6 ribelli e 41 civili nel raid aereo su un mercato nella provincia di Lahi, in quello che è ad oggi il giorno più nero dall’inizio degli attacchi della coalizione, il 26 marzo.

Continuano intanto le trattative dell’inviato dell’Onu Ismail Ould Cheikh Ahmed, arrivato a Sanaa tre giorni fa nel tentativo di arrivare ad un cessate il fuoco umanitario in un conflitto in cui si contano già 3.000 morti, per lo più civili.

Uno dei motivi fondamentali di questa guerra iniziata dopo la deposizione e l’appello all’Arabia Saudita di Abd-Rabbu Mansour Hadi, il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale ora in esilio a Riyadh che aveva preso il posto di Ali Abdullah Saleh, il quale a sua volta aveva lasciato la presidenza nel 2012 durante un’altra puntata della primavera araba ed è oggi alleato dei ribelli sciiti,  è l’Iran. Lo Yemen sarebbe infatti un altro fronte del conflitto in corso su scala regionale, per interposta persona, tra l’Arabia Saudita e Teheran sempre più influente e coinvolta - quest'ultima - negli affari dei singoli stati. Ritenendo gli Huthi appoggiati dal regime iraniano, per bloccare un eventuale tentativo di accendere un altro focolaio di instabilità nel Golfo, l’Arabia e il Consiglio di Cooperazione hanno infatti messo in piedi una coalizione di nove Paesi (Egitto, Marocco, Giordania, Sudan, Bahrein, Emirati, Kuwait e Qatar) che, diversamente dalle truppe inviate in Bahrein nel 2011, sta attaccando dal cielo le roccaforti dei ribelli sciiti nello Yemen. Dove peraltro resiste Al-Qaeda a Sud e nell’Est e, a gettare benzina sul fuoco in un Paese a maggioranza sunnita,  si è materializzato anche l’Esercito Islamico con una catena di attentati.

A riprova del sostegno concreto dell’Iran agli Houthi, sempre negato da Teheran, un documento riservatissimo pubblicato in esclusiva il 6 luglio scorso da Asharq Al-Awsat (Il Medio Oriente), autorevole giornale con sede a Londra di proprietà di un membro della famiglia reale saudita, specificherebbe anche qualche cifra. 

Il testo del documento, del quale il giornale pubblica la foto dell’originale e della traduzione in arabo, consisterebbe in un messaggio inviato dal capo della Fondazione dei Martiri Iraniani (un’organizzazione caritativa fondata dall’Ayatollah Khomeini negli anni ’80 dopo l’inizio della guerra con l’Iraq per sostenere le famiglie dei caduti e oggi sotto l’egida della Guida Suprema, l’ Ayatollah Ali Khamenei), Mohammad Ali Shahidi, alla Fondazione sorella nello Yemen. Secondo fonti del giornale si tratterebbe della risposta ad una richiesta della Quds Force (la divisione scelta della Guardia Rivoluzionaria Islamica iraniana impegnata in varie operazioni fuori dal Paese, compresa la lotta all’ISIS in Iraq) per conto della Fondazione yemenita, di incrementare il contributo finanziario agli Huthi a 3,7 milioni di dollari americani, viste le perdite pesanti subite dai ribelli dall’inizio degli attacchi aerei della coalizione. 

Nel messaggio, la Fondazione fa sapere di essere pronta a venire incontro alle richieste dei fratelli di Ansar Allah (I Partigiani di Dio), come vengono altrimenti chiamati gli Houthi, aiutando in ogni modo le famiglie dei “martiri” e delle vittime cadute nel conflitto, “con rispetto e stima”. Si assicura che riceveranno, come i “martiri” iraniani, contributi finanziari, vestiario e cure mediche.

Tutto lo Yemen sta vivendo una crisi umanitaria crescente, mentre i fondi promessi non arrivano e il rischio della fame diventa sempre più concreto. Scarseggiano l’energia elettrica e il carburante. Gli sfollati sono un milione. Le Nazioni Unite hanno fatto sapere lunedì scorso attraverso Jens Laerke, di aver ricevuto solo il 13% del miliardo e 600 mila dollari necessari chiesti un mese fa, un terzo dei quali dagli Usa che hanno dato 63 milioni di dollari, 19 milioni dal Giappone e 15 dalla Commissione Europea. Al momento della dichiarazione dall’Arabia Saudita, che si era impegnata per 274 milioni, non era ancora arrivato alcun contributo.

I soldi servono, ha specificato Laerke, per fornire cibo, acqua e riparo a 11,7 milioni di persone, ovvero poco più della metà dei circa 21 milioni di yemeniti  - cioè l’ 80% della popolazione - che si stima abbia bisogno di assistenza.

8 luglio 2015

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