Giacomo Corvi 

Cresce in Medio Oriente il numero delle vittime civili per gli attacchi dei droni sferrati dall'Occidente contro il terrorismo. E gli stati responsabili sono ora chiamati dall'Onu a istituire un'apposita commissione d'inchiesta indipendente per far luce sulla questione.

E' questo, in estrema sintesi, il risultato del rapporto stilato dall'avvocato britannico Ben Emmerson, relatore speciale dell'Onu per i diritti umani, presentato ieri a Ginevra. Ventuno pagine di cifre e dati, di episodi concreti e documentati, dalle quali emerge il tragico impatto di questo genere di attacchi sulla popolazione civile.

Perché per quanto i droni siano, almeno in teoria, progettati per colpire unicamente obiettivi mirati, questi velivoli armati e guidati a distanza mietono ancora moltissime vittime civili. Dei 37 attacchi presi in esame, 30 avrebbero causato la morte di civili o messo comunque a serio rischio la loro vita.

La situazione risulta particolarmente critica nello Yemen, dove dal 2009 a oggi si sono registrate 500 vittime a causa di errori grossolani nel centrare gli obiettivi prestabiliti. Particolare scalpore ha destato la strage di civili avvenuta nel sud del paese nel dicembre 2013, quando un drone americano ha colpito un corteo nuziale provocando la morte di 15 persone. Nello Yemen, si legge nel rapporto, "la frequenza di attacchi armati di droni si è intensificata, soprattutto negli ultimi mesi del 2013, con una forte crescita nel numero delle vittime civili accertate". Stessa situazione in Afghanistan dove, sempre nel 2013, si è assistito a una sensibile escalation di attacchi. Nel rapporto si contano 45 morti e 14 feriti in 19 diverse incursioni di droni, numeri che risultano in netta crescita rispetto al 2012.

Diverso invece il bilancio in Pakistan dove nel 2013, per la prima volta in nove anni, non si sono registrate vittime fra i civili. Diminuisce anche il numero di attacchi, che passano dal picco dei 128 nel 2010 ai “soli” 27 del 2013. Un'inversione di tendenza motivata soprattutto dalle proteste del governo di Islamabad, che avrebbero spinto l'esercito americano a limitare gli attacchi ai soli obiettivi di elevata importanza.

A finire sul banco degli imputati sono gli Stati Uniti dell'amministrazione Obama, insieme ad Israele e Regno Unito. "Questi stati - afferma Emmerson – sono ora chiamati a disporre immediatamente una commissione d'inchiesta indipendente e imparziale, e a fornire pubblicamente i relativi risultati". Insomma, gli stati responsabili devono essere ora posti dinanzi alle proprie responsabilità e devono dare una spiegazione plausibile del perché di tante vittime civili.

Anche perché, prosegue Emmerson nel rapporto, il livello di trasparenza rimane ancora molto basso: secondo i dati raccolti infatti, il numero effettivo di morti sarebbe di gran lunga superiore a quello ufficialmente riconosciuto, per esempio, dall'esercito americano. Un atteggiamento che, già nell'ottobre 2013, aveva spinto Amnesty International ad affermare: "Grazie alla segretezza del programma sui droni, l'amministrazione Usa ha di fatto una licenza di uccidere senza controllo giudiziario e in violazione degli standard basilari sui diritti umani. Non si sa neanche esattamente quanti siano stati i bersagli colpiti. A volte, neanche la Cia sa quali siano. E per quanto riguarda le vittime degli attacchi e le loro famiglie, che speranza di compensazione possono avere se gli Usa neanche ammettono di averli portati a termine?". 

12 marzo 2014

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