Jacopo Salvadori 

In Tunisia è ancora scontro sul diritto delle donne ad indossare il velo. Questa volta è l'Università di La Manouba, Tunisi, ad essere al centro delle contestazioni da parte degli studenti salafiti, i quali, martedì scorso, hanno letteralmente assediato la facoltà di Lettere e Scienze Umanistiche, bloccandone l'accesso. L'occupazione è cominciata dopo che un giovane si  è arrampicato sul tetto dell'edificio per strappare la bandiera nazionale e sostituirla con un drappo nero, simbolo della grandezza di Allah. Il motivo principale dell’atto dimostrativo è stato il rifiuto dell'Università di accettare studentesse che indossano il niqab, il tradizionale velo integrale. Tra le loro richieste c’è anche quella di uno spazio adibito alla preghiera.

Il loro portavoce, Mohammed Bakhti, ha accusato il preside della facoltà, Habib Kazdaghli, di aver aggredito due studentesse velate. "Una di loro - ha spiegato il preside- ha fatto irruzione nel mio ufficio e mi ha colpito, poi se l'è presa con i miei libri e i miei documenti, così ho dovuto allontanarla. Ho ancora i lividi addosso". L’Università aveva preso provvedimenti molto rigidi nei confronti di cinque studentesse velate. Una di queste, “accusata” di pregare in classe, è stata sospesa per un anno. Il preside si è rivolto contro le autorità rimproverando loro di non essere intervenute a bloccare gli studenti, mentre En-Nahda, il partito islamico moderato attualmente al governo, ha condannato l'attacco alla bandiera del paese. 

"Tutti devono impegnarsi - ha commentato il portavoce del Governo, Sami Dilou - per garantire i diritti degli studenti e delle libertà". Ha chiesto inoltre che il responsabile dell'oltraggio alla bandiera nazionale venga punito, ma soprattutto che la politica resti fuori da questa vicenda.

Al centro del dibattito pubblico non c'è però soltanto il diritto delle donne a indossare il niqab. Fathia Hayzem, responsabile delle relazioni esterne dell’Assemblea Tunisina delle Donne Democratiche (Atfd), ha organizzato, in occasione dell’8 marzo, un sit-in davanti alla sede dell’Assemblea Costituente "per ribadire i diritti e le conquiste realizzate dalle donne dalla metà del secolo scorso, da quando è stato varato lo Statuto personale nel 1958, il primo codice di famiglia del genere nel mondo arabo e musulmano". L'iniziativa nasce dalla necessità di discutere sul ruolo della donna nel contesto socio-politico arabo e soprattutto sulla sharia come fonte principale del diritto e della futura Costituzione. "Se la sharia - ha affermato l'attivista - diventerà la fonte principale del diritto tunisino, sarà una disgrazia per le donne".

Non aiuta la diffusione di associazioni salafite, le sentinelle dell'ortodossia, che rischiano, secondo la Hayzem, di «trasformarsi in una vera e propria polizia religiosa». «Alcuni di questi gruppi - spiega -agiscono per le strade della Tunisia alla luce del sole e in piena libertà, controllando il comportamento delle ragazze».

Dopo più di due mesi è arrivata la condanna dell'assedio all'Università di La Manoula. Il 10 maggio scorso il tribunale di prima istanza ha condannato a sei mesi con la condizionale Yassin El Bdiri, lo studente salafita che lo scorso marzo è salito sul tetto della Facoltà di Lettere e Scienze Umanistiche dell'Università di La Manoula, sostituendo la bandiera nazionale tunisina con il drappo nero, simbolo di Hizb ut-Tahrir, il partito salafita considerato illegale dalle autorità statali, dando così inizio agli scontri. Durante il processo, la difesa ha improntato l'arringa sul fatto che il gesto dello studente è stato amplificato dai media e che la sua unica colpa è stata quella di voler celebrare il vessillo della grandezza di Allah.Non sono mancate le contestazioni. Circa 150 manifestanti appartenenti al partito integralista salafita, presenti in aula, hanno criticato con forza la decisione dei giudici, infuriati per l'arresto di un loro “fratello”. Invece numerose personalità politiche ed intellettuali si sono schierate contro il gesto del ragazzo, primo fra tutti il presidente della repubblica tunisina, Moncef Marzouki. 

8 Marzo 2012

(Ultimo aggiornamento 17 Maggio)

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