Paula Iglesias 

Rana al-Aqbani. Matthew VanDyke. Ali Hassan Al Jaber. Mohamed Nabus. Da quando si è scatenato “Il giorno della rabbia” il 17 febbraio ed è esplosa la “Primavera araba” anche in Libia, decine di nomi di giornalisti caduti sul fronte di guerra sono caduti nel buio della memoria. Detenuti, torturati e in alcuni casi uccisi, i reporter hanno sofferto le restrizioni di una campagna del regime contro la libertà, giustificata dalla presunta “informazione infondata” dei global media. Il giorno successivo all’inizio della rivolta, il governo del colonnello di Al-Gheddafi bloccava l’accesso a Facebook e Twitter e poco dopo interrompeva l’accesso a Internet in tutto il paese, limitando e controllando anche le comunicazioni via telefono.

Nello stesso momento, come un fiore nato tra i sassi, dal sottosuolo di una società condannata nel corso di quattro decadi a dispotismo e repressione, Malek Mohamed, un ragazzo di soli 14 anni, fondava in Libia la sua agenzia di stampa. Malek, che ha sotto di sé 21 giornalisti e più di 2.700 seguaci su Facebook, dopo aver seguito e fatto sapere al mondo come sono stati gli otto mesi di guerra tra i ribelli affiancati dalla Nato e le forze leali al regime, è oggi uno dei protagonisti della nuova Libia.

Che comincia col discorso di fondazione del Consiglio Nazionale di Transizione dal quale risultano assenti le parole costituzione, elezioni, democrazia, garanzia delle libertà. Il leader provvisorio libico, Mustafá Abdel Jalil, ha annunciato che la Sharia, la legge islamica, sarà la fonte della legislazione del nuovo regime, e che non sarà più proibita la poligamia. “È una catastrofe per le donne libiche” spiega Al Chafer, fondatore del Partito della Solidarietà Nazionale, di ispirazione laica.  “La cancellazione della legge Gheddafi sul matrimonio farà sì che la donna, col divorzio, perda la casa coniugale”.

La morte brutale del dittatore, i timori per i diritti delle donne e la violazione negli ultimi mesi dei diritti umani da parte dei ribelli, gettano ombre sulla nuova Libia. Amnesty International, a settembre, ha denunciato le torture, gli arresti e i sequestri nei confronti dei sostenitori di Gheddafi durante tutto il periodo della rivolta, da parte dei ribelli che non sono stati puniti dal CNT. I corpi di 53 persone, che si pensa siano stati seguaci del colonnello libico, sono stati ritrovati in un hotel sotto il controllo dei combattenti.

Alzino le teste: sono libici liberi”, ha sottolineato il portavoce del nuovo governo Abdel Hafez Ghoga tre giorni dopo la caduta di Sirte. Ma questa determinazione, che potrebbe “ispirare il mondo”, come commenta il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, ha ancora tanti fiori impigliati tra le radici della parola libertà.

28 ottobre 2011

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