Giulia Brugnolini 

Il presidente siriano Bashar Al Assad,  si è rivolto la settimana scorsa alla nazione per la terza volta dall’inizio delle contestazioni a marzo, in un discorso all’Università di Damasco, invocando un dialogo tra tutte le parti politiche, fondamentale per il superamento dell’attuale fase di crisi economica e sociale. Il presidente ha promesso una stagione di apertura, di riforme e di grandi cambiamenti, soprattutto del potere giuridico, nel quadro di una sistematica lotta alla corruzione.“Siamo convinti che le riforme siano necessarie, perché sono nell’interesse della patria ed un desiderio dei cittadini” ha dichiarato, rispondendo alle vittime della violenta repressione ad opera dell’esercito, che l’intervento è stata una reazione necessaria al sabotaggio da parte dei  gruppi religiosi estremisti che si sono uniti alle proteste dei cittadini. Ha inoltre auspicato un “ritorno alla normalità”, primo passo per intraprendere un percorso di riforme costituzionali e di rilancio dell’economia. 

Le dichiarazioni del presidente -che già aveva annunciato la revoca dello stato d’emergenza, cui non erano seguiti cambiamenti concreti- non hanno però convinto l’opposizione che ha continuato nei giorni scorsi a scendere in piazza denunciando l’ipocrisia del governo. La “normalità” di cui ha parlato Bashar sembra ancora un miraggio lontano dal momento che, dopo le nuove proteste, l’esercito ha intensificato la repressione, in particolare nel Nord dove i tank hanno circondato il villaggio meridionale di Khirbat al-Juz.

Sono ad oggi oltre ottomila i profughi siriani che hanno raggiunto il confine turco per fuggire alle violenze delle forze filogovernative ai quali Ankara ha dato rifugio e rifornito di beni di prima necessità. Per la Turchia l’attuale scenario rappresenta un’importante sfida per la politica estera “zero problemi con i vicini”, promossa dal governo di Tayyip Erdogan, che sta ora facendo pressioni sul presidente siriano affinché ponga fine alla repressione, minacciandolo di proporre al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’intervento militare. Tra le preoccupazioni del governo turco i circa 1,4 milioni di curdi presenti in Siria che nel caso cadesse il  governo Assad, potrebbero fare causa comune coi curdi della Turchia -che sono invece oltre 17 milioni, e chiedere l’indipendenza. Il Ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu a proposito della Siria ha dichiarato che “Le richieste della popolazione sono legittime. Soddisfarle renderebbe la nostra regione più stabile, più democratica e più prosperosa. Siamo pronti a fare il possibile per una transizione pacifica”.

30 giugno 2011

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