Giulia Brugnolini 

A più di due mesi dall’inizio dell’intervento militare della coalizione internazionale in Libia, il Gruppo di Contatto, che vede riuniti venti Paesi incluso il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) libico, si è riunito a Doha, in Qatar per concordare la strategia futura .
 
I ribelli libici stanno ancora combattendo aspramente nella città di Misurata. Per impedire un ulteriore avanzamento delle truppe lealiste, come ha riferito il ministro degli esteri italiano Franco Frattini al termine dell’incontro, durante il meeting si è discusso della possibilità di fornire aiuti materiali per l'autodifesa dell'opposizione, ovvero armi, mezzi di comunicazione e di intercettazione delle comunicazioni radio del regime.
 
Per parte sua il CNT e’ rimasto fermo sulle sue posizioni, ribadendo il no al “cessate il fuoco” suggerito dall’Unione Africana: non sarà accettata nessuna proposta di accordo che non preveda l’abbandono del potere da parte di Gheddafi e dei suoi figli. Ha inoltre proposto un percorso per il dopo Gheddafi che prevede, due settimane dopo l'uscita di scena del leader libico, la creazione di un comitato nazionale incaricato di scrivere una nuova Costituzione  e preparare entro pochi mesi le elezioni politiche e quelle presidenziali. Una road map sicuramente in sintonia con le richieste che hanno animato le piazze libiche e sono sfociate nella guerra con le forze del regime, che dovrà comunque fare i conti con il vuoto democratico dopo anni di dittatura e di assenza di qualsiasi forma di associazione politica indipendente.

Un gap che nessuna arma potrà colmare, né in Libia né del resto negli altri Paesi arabi, dove la rivolta infuria da mesi anche a caro prezzo. Non ultime le vittime in Siria -oltre duecento, tra le quali anche alcuni militari che si sono rifiutati di sparare sulla folla- ad opera delle forze di sicurezza, come nello Yemen dove la gravità degli scontri fa temere il ripetersi di una guerra civile come quella del 1994. Anche in questi stati, nel caso in cui i ribelli arrivassero a far dimettere i rispettivi capi di stato sulla scia di quanto già accaduto in Tunisia e in Egitto, la fase successiva si profila ugualmente problematica.

08 Maggio 2011

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