Giulia Brugnolini 

La città di Daraa, nella Siria meridionale, è ormai diventata simbolo della più significativa sfida popolare al regime Assad degli ultimi quarant’anni. Gli esponenti dell’opposizione hanno minacciato di far crollare il regime se non si aprirà un cammino di democrazia. La revoca delle leggi di emergenza approvata nei giorni scorsi dal presidente Bashar Al Assad ha sortito il solo effetto di mettere a nudo l’ipocrisia di un governo che ha ora scelto definitivamente la strada della violenza.
 
L’esercito di Damasco sta concentrando infatti le proprie forze in una controffensiva che, stando ai dati di alcune organizzazioni per i diritti umani, avrebbe provocato oltre 320 morti dall’inizio delle contestazioni. Due giorni fa, riportano alcuni testimoni, almeno otto blindati sono entrati nel centro di Daraa sparando colpi di mitra sulle abitazioni. Si racconta di una città circondata da cecchini posizionati sui tetti delle moschee, con le linee telefoniche ed elettriche tagliate per mano del regime, in emergenza sanitaria per mancanza di sangue per le trasfusioni ai feriti. “L’esercito spara a chiunque esca in strada” racconta un residente raggiunto col telefono satellitare. “Queste sono le riforme di Bashar Al Assad” ha commentato un altro testimone in un video che ritrae i carri armati entrare a Daraa. Ma “Dove arriveranno con questa repressione?” è la domanda che ha posto da Beirut un opinionista siriano che ha preferito rimanere anonimo.

La gravità della situazione ha spinto la Germania, la Francia, la Gran Bretagna e il Portogallo a chiedere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di condannare la violenta repressione esercitata dalla Siria contro i manifestanti, dichiarazione che avrebbe però un impatto sulle prospettive di pace in Medio Oriente dove la Siria ha un ruolo rilevante. Dall’altra, gli Stati Uniti stanno valutando l’ipotesi di contromisure quali il congelamento dei beni dei più alti esponenti del governo, mentre è attesa per venerdì prossimo a Ginevra una riunione speciale dei 47 paesi del Consiglio Onu per i Diritti Umani con l’ambasciatore siriano presso le Nazioni Unite Bashar Ja'afari.
 
Per ora non c’è stata nessuna defezione nelle file dell’esercito siriano; le TV di stato hanno trasmesso i funerali dei soldati morti negli scontri avvolti nelle bandiere come martiri della patria. Le forze di opposizione, definite dal presidente Assad “bande armate di fondamentalisti dalle quali il popolo chiede di difendersi” -parole che ricordano quelle di Gheddafi verso i ribelli libici – anche se in modo frammentario si stanno organizzando, per una battaglia che ha tutti i presupposti di una guerra civile.

7 Maggio 2011

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