Emanuela Ulivi 

Mentre la guerra in Siria sta diventando sempre più terreno di confronto tra le potenze mondiali e l’ingresso della Turchia nella guerra all’Isis – e ai curdi - aggiunge argomenti alla geopolitica regionale e internazionale, la battaglia tra le forze del regime di Bachar al-Assad, appoggiate da Iran e Russia, contro l’Esercito Islamico e i cosiddetti ribelli per la riconquista di città quali Aleppo o Manbij, ha aggravato la crisi umanitaria che ha raggiunto  livelli insostenibili. L’intensificarsi dei bombardamenti, cui si sono aggiunte le armi chimiche, ha appesantito il bilancio delle perdite di civili, di bambini in particolare, e degli sfollati. Si parla di 5.000 persone da ricollocare ogni giorno. La stessa Aleppo, in parte liberata, continua ad essere teatro di combattimenti e di bombardamenti da parte delle forze aeree siriane e russe, dei quartieri dove ancora resistono i ribelli.

Per questo, a sei mesi dalla quarta conferenza internazionale dei Paesi Donatori per la Siria riunita a Londra a febbraio,  è stata convocata il primo settembre in Kuwait l’ottava Conferenza dei Principali Paesi Donatori (ovvero il comitato di coordinamento dei Paesi Donatori), cui hanno preso parte i rappresentanti degli stati confinanti con la Siria che ospitano i rifugiati, cioè la Turchia, il Libano, la Giordania, l’Iraq, l’Egitto, insieme ad esponenti delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale e di alcune agenzie umanitarie internazionali.

“Mentre è in corso questa conferenza, alcune delle parti impegnate nel conflitto insistono nel prolungare le violenze; le aree residenziali vengono bombardate e le vite di innocenti spezzate, specie ad Aleppo laddove oltre un milione di persone vive in condizioni umanitarie sempre peggiori, che si deteriorano di giorno in giorno, mentre altre 300.000 vivono intrappolate fin da luglio in mezzo a tutta questa violenza”. Così ha esordito il Dr. Abdullah Al-Matouq, consigliere dell’Emiro del Kuwait e Presidente delle Organizzazioni Islamiche Caritative Internazionali (IICO), nonché Inviato del Segretario Generale delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, carica, quest’ultima, per la quale è stato confermato dal segretario Ban Ki-Moon nel 2014. Il lavoro umanitario non è sufficiente per superare questa situazione, ha sottolineato il  Dr. Al-Matouq ed ha invitato la comunità internazionale ad adoperarsi per far  sì che tutta questa violenza finisca, richiamando i Paesi interessati a tenere fede agli impegni per migliorare la situazione umanitaria.

Le cifre del disastro umanitario le ha ricordate  il Viceministro degli esteri kuwaitiano Jamal Al-Ghanim : oltre 13 milioni e mezzo le persone che hanno urgente bisogno di aiuto e quattro milioni e ottocentomila i rifugiati  stimati dall’Onu, frutto dell’escalation militare.

Che la situazione sia drammatica lo confermano le cifre delle agenzie delle Nazioni Unite per i rifugiati e gli aiuti umanitari UNHCR e UNOCHA (riportate nel rapporto della Humanitarian Aid and Civil Protection della Commissione Europea, uscito i primi di settembre 2016 *): dei 13 milioni e mezzo di siriani che hanno bisogno di assistenza umanitaria, 4 milioni e mezzo sono in zone sotto assedio quindi difficili da raggiungere. Gli sfollati interni sono 6.600.000; i rifugiati registrati o in attesa di registrazione presso l’UNHCR 4.815.540. 

Al meeting, Al-Ghanim ha anche ricordato che il Kuwait ha versato un miliardo e 600 mila dollari quale Paese donatore. E il Vice Segretario generale per il Partenariato umanitario delle Nazioni Unite col Medioriente e l’Asia Centrale, Rashid Khalikov, ha a sua volta spronato i Paesi donatori a trovare una soluzione e ad onorare gli impegni, perché, ha spiegato, la crisi umanitaria è ancora più profonda. 

Addirittura c’è il rischio che anche gli stati che ospitano i rifugiati soffrano, alla lunga, il protrarsi della guerra in Siria. L’allarme è arrivato dal ministro degli Affari sociali libanese Rashid Derbas. Il Libano è il Paese con la maggior percentuale di rifugiati siriani in rapporto alla popolazione: dal 2011 hanno varcato il confine - tra quelli registrati e non - quasi 2 milioni di siriani, su una popolazione di appena 4 milioni di libanesi. 

Durante la conferenza, Derbas ha lanciato l’idea di creare delle zone di sicurezza in territorio siriano per incoraggiare i rifugiati a tornare nella loro terra, “una misura meno costosa - ha chiarito - e più utile”. Che viene incontro anche allo stato d’animo di larga parte della popolazione libanese che, ospitando già i rifugiati palestinesi, teme per la stabilità del Paese.

7 settembre 2016

* Il rapporto completo è reperibile al seguente link: 

https://ec.europa.eu/echo/files/aid/countries/factsheets/syria_en.pdf

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