Emanuela Ulivi 

Il parlamento iracheno ha votato ieri la fiducia al governo di unità nazionale presieduto da Nouri al Maliki. Come prevede la Costituzione, sono stati approvati con voto separato le nomine del capo del governo, dei tre vice primo ministro e dei ventinove ministri giá designati, su un totale di quarantadue portafogli. Entro sabato saranno resi noti i nomi dei rimanenti, tra i quali i titolari dei dicasteri dell’elettricità, della pianificazione, delle municipalità e lavori pubblici. Nouri al Maliki, al suo secondo mandato, avrà per il momento l’interim di tre ministeri, gli interni, la difesa e il posto di ministro di stato per la sicurezza nazionale. Mentre per gli interni si parla già di una figura indipendente, l’individuazione degli altri ministri potrebbe comportare settimane se non mesi. Diversamente dal governo precedente che contava quattro donne, nell’attuale ne figura una sola, in postazione di segretario di stato senza portafoglio. 

Il parlamento ha anche approvato i quarantatre punti del programma col quale Al Maliki governerà l’Iraq dando impulso all’economia di mercato e agli investimenti, rafforzando la produzione petrolifera. Obiettivi inderogabili non meno della lotta alla corruzione e al terrorismo. Soprattutto sará compito di al Maliki e del suo governo gestire il paese una volta che le forze Usa avranno lasciato l’Iraq alla fine del 2011.

Il governo, al termine di una lunga trattativa, è il derivato di un compromesso tra le forze politiche uscite dalle urne a marzo, in particolare tra le due formazioni sciite, quella di al Maliki, sciita, arrivata seconda con 89 seggi e quella dell’ex primo ministro Iyad Allawi, sciita laico, che ha vinto seppure con un distacco di due deputati dovuto all’elettorato sunnita. 
L’insufficienza dei numeri ha costretto ad un accordo politico cui si è arrivati faticosamente il 10 novembre, che assicura al premier uscente di tornare al governo dell’Iraq a capo di una larga coalizione tra l’Alleanza nazionale -che raggruppa i principali partiti sciiti, tra i quali quello di al Maliki che conta 159 deputati- e Irakia, il partito di Allawi che “avrá uguali diritti e doveri nella ripartizione del potere”. Anche i curdi hanno preferito al Maliki piuttosto che Allawi, decisione sulla quale ha pesato il contenzioso coi sunniti, sia a livello demografico sia per il petrolio, nelle zone di Kirkuk e Mosul. L’alleanza comprende anche il vecchio rivale di al Maliki, l’imam radicale sciita Moqtada al Sadr che alle elezioni ha sorprendentemente guadagnato 40 dei 325 seggi in parlamento. 

I quarantadue portafogli saranno così ripartiti: oltre al primo ministro, i tre vice primo ministro apparterranno all’Alleanza nazionale, alla lista laica Irakia e al blocco curdo. Dei trentotto ministri e segretari di stato, 17 andranno ad Alleanza nazionale, 9 ad Irakia, 7 ai curdi, mentre la lista che raggruppa i sunniti e i laici avrá un ministro, cosí come le formazioni minori.

L’Iran che molto ha pesato in questi mesi sostenendo i contendenti di al Maliki, sembra essersi accontentato di contare sulla presenza dei propri alleati nella coalizione governativa. Anche l’Arabia saudita e la Siria hanno avuto il loro ruolo nelle trattative. E forse la partita non è del tutto conclusa.

22 Dicembre 2010

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