Emanuela Ulivi 

Sempre più ravvicinati gli attentati contro i cristiani, vittime anche stamattina di una serie di attacchi nella capitale irachena. L’ultima uccisione di altri due cristiani risale infatti a tre giorni fa, ad una settimana dalla strage del 31 ottobre in cui sono morte 52 persone nel blitz delle forze di sicurezza e dei soldati Usa all’interno della chiesa siro cattolica di Nostra Signora della Salvezza a Bagdad, dove erano tenuti in ostaggio decine di fedeli riuniti per la messa domenicale. Morti anche i cinque terroristi appartenenti all'Organizzazione per lo Stato islamico in Iraq, il braccio di Al Qaeda nel Paese, che ha rivendicato l’assalto chiedendo alla Chiesa Copta d’Egitto il rilascio entro 48 ore di alcuni prigionieri e di due donne convertite all’Islam, Camilia Chehata e Wafa Constantine, mogli di sacerdoti copti trattenute in un monastero. Ultimatum scaduto il quale la cellula irachena di Al Qaeda con un secondo messaggio ha esteso la sua minaccia in Iraq a tutte le chiese, ai cristiani e ai loro capi, ritenuti "obiettivi legittimi” dei mujahidin.
 
E’ l’ultimo episodio di una scia di sangue iniziata all’indomani della cacciata di Saddam Hussein da parte delle truppe di Stati Uniti e Gran Bretagna, che fa rimpiangere ad alcuni gli anni del rais quando, anche se in un regime dittatoriale, c’era tolleranza - o quantomeno i cristiani non subivano lo stesso trattamento degli sciiti e dei curdi - mentre per altri è stato proprio sotto Saddam che sono iniziate le migrazioni dei cristiani a partire dai primi anni ‘90. Attentati contro chiese cristiane e fedeli ci sono stati nel 2004, nel 2008 e nel febbraio di quest’anno; nel 2006 un prete ortodosso è stato sequestrato e decapitato; ucciso nel 2008 con altre tre persone il segretario dell’arcivescovo caldeo Paulos Faraj Rahh che un mese dopo a sua volta verrà sequestrato e ucciso, mentre ad aprile dello stesso anno un prete ortodosso sarà freddato. 
 
A Bagdad, a Kirkuk Erbil come a Mosul, continua quindi l’emorragia dei cristiani, siano essi Assiri o Caldei o di altre Chiese, cominciata già prima della seconda guerra del Golfo, riducendo una delle comunità cristiane più antiche del mondo da un milione di persone quali erano nel 1990 ad 800.000 nel 2003 e ai 500.000 di oggi. 
 
Un popolo in fuga verso i Paesi vicini e verso l’Occidente, profughi con tutte le difficoltà che questo comporta. La loro drammatica situazione è stata forse la più emblematica dell’esodo dei cristiani in Medio Oriente, al centro del Sinodo delle Chiese cattoliche mediorientali che si è tenuto a Roma dal 10 al 24 di ottobre. Come scrivono i 185 rappresentanti delle varie comunità nel messaggio al Papa: “Nelle nostre riunioni e nelle nostre preghiere abbiamo riflettuto sulle sofferenze cruente del popolo iracheno. Abbiamo fatto memoria dei cristiani assassinati in Iraq, delle sofferenze permanenti della Chiesa in Iraq, dei suoi figli espulsi e dispersi per il mondo, portando noi insieme con loro le preoccupazioni della loro terra e della loro patria. I padri sinodali hanno espresso la loro solidarietà con il popolo e con le Chiese in Iraq e hanno espresso il voto che gli emigrati, forzati a lasciare i loro paesi, possano trovare i soccorsi necessari là dove arrivano, affinché possano tornare nei loro paesi e vivervi in sicurezza”. E appellandosi alla comunità internazionale chiedono una pace giusta nella regione, che traccia un futuro in cui anche “L’Iraq potrà mettere fine alle conseguenze della guerra assassina e ristabilire la sicurezza che proteggerà tutti i suoi cittadini con tutte le loro componenti sociali, religiose e nazionali”. 

Proprio là dove è nato il cristianesimo, la migrazione riguarda tutti i cristiani, cattolici, protestanti e ortodossi, vittime di episodi di intolleranza e persecuzione, che ha portato la loro presenza in Medio Oriente dal 20 a poco più del 5% nell’arco di un secolo, su una popolazione attuale di 356 milioni di abitanti in maggioranza musulmani. 
 
Un’emorragia che tocca in particolare i giovani e che in Iraq è forse destinata ad aumentare   dopo le ultime minacce di al Qaeda, come teme Chlimoune Wardouni, vescovo caldeo di Bagdad dove i cristiani in sette anni sono passati da 450.000 a 150.000 e le parrocchie da 28 che erano ora sono la metà. Iracheni ai quali si rivolge dal Regno Unito l’arcivescovo siro ortodosso Athanasios Dawood invitandoli a lasciare il Paese, dove i cristiani, sostiene, dal 2003 non sono più protetti. Una sfida questa, anche per il nuovo governo di Al Maliki.
 
10 Novembre 2010

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