Giulia Brugnolini 

Dal mensile Payam-e Enghelab –tradotto, Messaggio della rivoluzione- arrivano le voci di dissidio della Guardia Rivoluzionaria Iraniana, forza paramilitare volontaria dalle cui fila proviene lo stesso Presidente Mamhoud Ahmadinejad. Un chiaro segnale della frammentazione interna all’IRGC (Iranian Revolutionary Guard Corps) e del tentativo dell’elite governativa di costruire un crescente potere slegato dalla Guida Suprema Khamenei.

Nell’articolo dal titolo “Il Parlamento è ancora al centro del processo di decisione politica?” uscito nel mensile curato da esponenti della Guardia Rivoluzionaria si leggono aspre critiche riguardo le ultime dichiarazioni di Ahmadinejad che hanno sconvolto il già precario equilibrio tra i diversi centri di potere. In un’intervista di settembre,  egli avrebbe infatti additato un ridotto potere del Parlamento, ponendosi nettamente in contrasto con i dettami dell’ayatollah Khomeini secondo i quali “il parlamento è al centro delle decisioni politiche”. Il presidente allora valutò anacronistiche le parole della Guida Suprema dichiarando che, in accordo con la situazione attuale, era auspicabile invece un assoggettamento degli altri poteri all’esecutivo. Inoltre egli promosse una via iraniana all’Islam attraverso l’adozione di una scuola di pensiero iraniana invece che islamica, causando l’ostilità della fascia conservatrice del paese e tradendo in pratica quella che poi è l’essenza della Repubblica Islamica. L’articolo provocatorio dà voce alle richieste di parlamentari e membri del Consiglio dei Guardiani della Costituzione allarmati dalla crescente autonomia del Presidente. 

Di natura controversa sono stati anche i suoi ultimi provvedimenti in ambito economico. A causa dei tagli di miliardi di dollari ai sussidi per i beni di prima necessità si prevedono vertiginose impennate del prezzo della benzina e un malcontento diffuso nelle fasce più indigenti della popolazione. La recente agenda di Ahmandinejad, inoltre, ha posto come ordine del giorno anche questioni di politica estera. Già dal 24 agosto, data in cui nominò quattro nuovi rappresentanti diplomatici speciali con scarsa esperienza nel settore rischiando di mettere in crisi i rapporti iraniano-turchi dopo le pericolose dichiarazioni di uno di essi sul massacro subito dagli Armeni durante la Prima Guerra Mondiale, suscitò il sospetto che volesse scavalcare il ministro degli Esteri. Voci discordanti lo vedrebbero invece propenso ad una normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti dopo l’accordo con il gruppo di Vienna per lo scambio di parte del proprio uranio in cambio di carburante per il reattore di ricerca medica di Teheran  formalizzato a maggio del 2010.

L’aperta opposizione dell’IRGC nei confronti di un ex-Basiji –il corpo dei miliziani volontari – che ha fin’ora  sostenuto, palesa come la Guardia Rivoluzionaria attuale, malgrado il suo apparente successo politico, rimane un’istituzione frammentata, divisa e controversa. Tale tendenza apparse fin dalle elezioni presidenziali: non è infatti ancora chiaro quante guardie abbiano votato per Mozhen Rezai –allora comandante della Guardia Rivoluzionaria-  e per le sue convinzioni conservatrici, quante per il riformista Mir Houssein Moussavi e quante per Ahmadinejad.

In questa crisi interna, prevede il ricercatore tedesco esperto di politica iraniana Reza Khaligh, un ruolo decisivo potrebbero giocare le previsioni di Ahmadinejad riguardo alle reazioni di Khamenei. Se quest’ultimo dovesse mostrare di ripiegare su altre forze politiche in contrapposizione al Presidente –ad esempio i fratelli Larijani (il maggiore, Alì, è un influente parlamentare, mentre Sadeq è capo della magistratura) è probabile che il capo dell’esecutivo compia un decisivo passo indietro, almeno nell’immediato.

Intanto il governo ha incrementato la presenza delle forze dell’ordine con l’obiettivo di scongiurare eventuali proteste delle forze di opposizione.

I politici occidentali hanno definito il 2010 “l’anno dell’Iran” in riferimento alle preoccupazioni da esso destate per l’ordine mondiale. Teheran è ancora una volta al centro del controverso scenario politico regionale ed internazionale con frammentazioni interne sempre meno sanabili che potrebbero sfociare in violenza proprio come accadde subito dopo le elezioni del 2009.

5 Novembre 2010

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