Ramón González de la Peña 

Dopo mesi di alti e bassi e dopo aver sprecato numerosi colloqui i negoziati indiretti tra israeliani e palestinesi, con la mediazione degli Stati Uniti per cercare di riannodare i fili del processo di pace dopo un anno e mezzo di stallo, potrebbero cominciare entro un paio di settimane. I dubbi, in termini di risultato, restano importanti. Ma i segnali di  riavvicinamento si stanno moltiplicando: a confermarlo, la notte scorsa, un "quasi annuncio" del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu che, in una riunione di partito a Tel Aviv ha attribuito al presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen, l'intenzione definitiva di dire sì ai "proximity talks" proposti nei giorni scorsi nella regione dall'inviato della Casa Bianca, George Mitchell. L'improvviso ottimismo di Netanyahu e la sensazione di una svolta imminente si nutrono delle parole pronunciate lunedi' sera proprio da Abu Mazen in un'intervista alla tv israeliana Canale 2. Intervista in cui, per la prima volta da mesi, il leader palestinese fa nascere la speranza, trovando solo commenti positivi sul lato opposto. Secondo Abu Mazen, l'avvio dei negoziati potrebbe essere questione di pochi giorni. Il tempo necessario per convocare una riunione della Lega Araba (prevista per il primo maggio) e ricevere l'approvazione dal NPC che ha un bisogno vitale di coprirsi le spalle dalle accuse di debolezza che inevitabilmente arriveranno da parte degli islamici radicali di Hamas.

Inoltre, Abu Mazen garantisce di non essere a favore di passi unilaterali, allontanando l'idea dell'auto-dichiarazione di indipendenza nel 2011, proposta dal primo ministro Salam Fayyad in risposta ad un possibile fallimento di iniziative di dialogo. Mentre si mostra disposto a entrare subito nel merito dei dossier piu' spinosi, offrendo, per esempio, lo scenario di una presenza di forze della NATO sotto il comando degli Stati Uniti, nel territorio di un futuro Stato palestinese per garantire la sicurezza di tutti. Un punto che era stato già concordato con l'ex primo ministro israeliano Ehud Olmert, ha ricordato Abu Mazen, aggiungendo che è disposto a partire da quanto è stato concordato con Olmert, anche sulla questione di un possibile scambio di territori. Secondo il principio in base al quale la Palestina di domani dovra' nascere fondamentalmente nei confini del 1967 antecedenti alla Guerra dei Sei Giorni (Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme est). Ma senza escludere qualche baratto di "territorio di uguale dimensione e importanza'' tale da lasciare a Israele aree omogenee degli insediamenti ebraici, ormai troppo grandi per essere evacuati. Allo stesso tempo il presidente ANP non esita a mettere da parte le polemiche e diffidenze personali consolidate contro Netanyahu, sostenuto da una coalizione di forte impronta di destra. Assicurando d'essere pronto ''a lavorare anche'' con l'attuale primo ministro, in quanto leader eletto. E di non avere alcuna preclusione individuale, in presenza delle condizioni negoziali minime. Quali il congelamento de facto degli insediamenti ebraici nei territori, e l'espansione delle costruzioni a Gerusalemme Est che Netanyahu continua a negare nonostante la pressione degli Stati Uniti. Ma in realtà, come si dice, l'avrebbe promesso privatamente a Barack Obama: almeno in termini di un generico "contenimento".  

29 aprile 2010

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