Emanuela Ulivi 

Tutto rinviato. Divisi quasi su tutto, i 14 Paesi (dei 22) della Lega araba riuniti lo scorso week-end per la prima volta in Libia, a Sirte, città natale del leader Muhammar Gheddafi, non hanno trovato una linea comune né sul processo di pace, né sull’allargamento all’Iran. Temi rinviati ad una sessione straordinaria del summit prevista a settembre. Neanche è stata affrontata la riforma interna della Lega: nella “dichiarazione della Sirte” al termine del summit,  viene rimandato anche l’esame del progetto di trasformazione della Lega araba in Unione araba, che per alcuni potrebbe ricalcare il modello dell’Unione Europea. 

Sull’empasse del processo di pace, la Lega ha invitato il presidente americano Obama e il Quartetto a mantenere la pressione su Israele, stanziando 500 milioni di dollari per migliorare le infrastrutture a Gerusalemme Est e per gli indennizzi alle famiglie sfrattate. Ma, oltre a sottoscrivere la posizione ferma del presidente palestinese Mahmoud Abbas che ha condizionato la ripresa dei negoziati al congelamento degli insediamenti a Gerusalemme Est, la Lega non ha espresso alcuna proposta. Il piano di pace lanciato nel 2002 su iniziativa saudita non è più la sola opzione: si stanno studiando progetti alternativi, ha fatto sapere il segretario della Lega Amr Moussa, nel caso fallisse. “Nelle prossime settimane –ha affermato ancora- dovremo decidere sul da farsi, se continuare sulla via dei negoziati o cambiare completamente direzione”. Opzioni diverse quindi, compresa quella militare, che riflettono le divisioni all’interno della Lega.

Eppure per il presidente palestinese Abbas sarebbe stato importante affrontare i prossimi  sviluppi del processo di pace rafforzato dall’appoggio degli Stati arabi, anche sul versante interno nei confronti dei gruppi palestinesi contrari al negoziato e sostenuti dall’Iran e dalla Siria, dopo la decisione di sospendere l’inizio dei colloqui indiretti fino a quando non saranno stati annullati i piani per i nuovi insediamenti a Gerusalemme Est (1600 abitazioni) annunciati durante la visita in Israele del vicepresidente americano Joe Biden il 9 marzo scorso. Decisione che è suonata come un insulto allo stesso presidente Barak Obama, innescando una crisi diplomatica tra la Casa Bianca e Israele che neanche la visita del premier israeliano Netanyahu a Washington ha smorzato, bloccando ulteriormente il processo di pace.

Della questione palestinese si è discusso nella seconda giornata del summit ma, seppure a porte chiuse, secondo quanto riporta la stampa pare sia stato più uno scontro che un confronto. In particolare tra il presidente siriano Bachar al Assad, orientato ad una maggiore resistenza contro Israele – “Il prezzo della pace non è più alto di quello della guerra” dicono abbia affermato- e il presidente palestinese Abbas, che teme nel caso di fare il gioco di Israele e che ha accusato la Siria di appoggiare Hamas e di bloccare la proposta egiziana di riconciliazione interpalestinese che Fatah ha già accettato.

Neanche riguardo all’Iran la Lega è stata in grado di assumere una posizione condivisa. L’Iran, che sostiene Hamas a Gaza e Hezbollah in Libano, quasi fosse il convitato di pietra è stato evocato da Amr Moussa che ha avanzato la proposta di un forum regionale tra gli stati arabi allargato alla Turchia, all’Iran e al Ciad, esortando Teheran ad un ruolo più costruttivo nella regione in cambio dell’assicurazione da parte dei Paesi arabi che in caso di attacco militare contro le basi nucleari iraniane, questi non si schiereranno a fianco degli Stati Uniti. Arabia Saudita ed Emirati, in particolare, da sempre contrari ad accogliere  nei consessi regionali l’Iran di cui temono l’influenza e diffidenti sul suo programma nucleare, hanno preso le distanze da altri esponenti arabi che invece hanno paventato le conseguenze di un ulteriore allontanamento del regime di Teheran. Risultato: anche su questo tema ci si confronterà a settembre, davanti ad  un piano più dettagliato. 

Come è stato sottolineato da vari analisti, la Lega araba storicamente non ha mai risolto alcun conflitto né quello israelo-palestinese, né altri come l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. Ciononostante il peso della Lega araba, della quale fanno parte 22 Stati per un totale di 358 milioni di persone, non è secondario nelle questioni e nei conflitti della regione. Una sua riforma è però urgente quanto necessaria.

2 aprile 2010

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