Emanuela Ulivi 

BEIRUT - Tra depliant e materiali informativi sulla promozione dei diritti delle donne sparsi nei locali dell’associazione Kafa, l’attenzione cade su una cartella stampa appoggiata su un tavolo: sopra ci sono lo stemma dello Stato italiano e quello della Cooperazione, simboleggiata da una colomba nella silhouette di una mano. “In partenariato con Kafa - spiega un’operatrice dell’associazione- l’Ambasciata italiana ha promosso la mostra fotografica "Behind the doors" dal 3 al 9 dicembre nello spazio espositivo del Ministero del Turismo, in cui sono esposte le foto di alcune donne che hanno subito violenza ed hanno fissato attraverso questa rielaborazione una tappa del loro percorso”.

Le donne, i bambini e gli anziani, l’istruzione, la sanitá, l’ambiente, il patrimonio archeologico, gli ambiti d’azione dal Nord al Sud del Libano di una strategia e un modus operandi dell’Italia oggi presente in tutti i settori decisivi dello sviluppo e guardata con simpatia dalla popolazione.

Perché si ha una percezione dell’Italia come paese amico, senza agende politiche nascoste” spiega l’ambasciatore Gabriele Cecchia arrivato nel 2006 in Libano un mese dopo la fine dell’offensiva israeliana, inaugurando fin dall’emergenza, una nuova pagina della cooperazione “come strumento politico nel senso più proprio del termine”. Impegno che si è tradotto in un vero partenariato a tutti i livelli, riassunto in quello che non è uno slogan ma identifica una formula, “L’Italia in Libano per il Libano”, ad indicare un lavoro mirato a fianco delle istituzioni e della societá civile per contribuire alla pace e alla stabilitá di un Paese che è allo stesso tempo microcosmo e un crocevia nella regione. Un salto qualitativo corroborato da consistenti finanziamenti (l’Italia sta contribuendo attraverso i diversi progetti e programmi per un totale di oltre 215 milioni di euro) a cominciare da quelli dell’emergenza del fondo Reabilitation, Occupation, Services and Development (ROSS) e dagli stanziamenti per lo sminamento all’UN Mine Action Service. Oltre 90 milioni di euro sono stati indirizzati alla ricostruzione, allo sviluppo e all’assistenza umanitaria tra il 2006 e il 2008, trasformando l’aiuto alla ricostruzione in occasione di sviluppo e mettendo mano a interventi concertati, tagliati sulle esigenze locali. Secondo una rodata tradizione della diplomazia italiana di dialogo verso tutte le parti, che in Libano acquista valenza esemplificativa, per dare sostegno sia al consolidamento e alla stabilità di uno stato moderno e democratico, che, nella prospettiva regionale, al processo di pace.

Oltre ai contatti istituzionali coi vari gruppi politici, l’attenzione al dialogo interlibanese (e prima alla riconciliazione dopo la guerra civile) e a quello tra libanesi palestinesi sono solo alcuni esempi di una strategia al contempo di attenuazione delle tensioni e di deterrenza di eventuali manifestazioni del terrorismo. In questo senso sono da leggere gli interventi nei campi palestinesi per migliorare le condizioni di vita e i contributi al governo per la ricostruzione (e nell’immediato all’Unrwa diretti alla popolazione sfollata) del campo alle porte di Tripoli di Nahr el-Bared, dopo il conflitto del 2007 tra l’esercito libanese e il gruppo fondamentalista di Fatah el Islam, occasione questa per intervenire anche sulla popolazione dei sei villaggi vicini.

Con un riguardo specifico alle giovani generazioni.  Implementando il dialogo e il coordinamento con l’Unrwa e il Comitato di dialogo libano-palestinese, l’Ambasciata italiana ha promosso le “Palestiniadi”, tre giorni di gare sportive tra gli studenti di tutti i campi palestinesi -ma aperte ai giovani libanesi- arrivate nel 2009 alla seconda edizione cui hanno preso parte 530 giovani, ripristinando al contempo qualche struttura sportiva. Un pensare in termini di pace come investimento, da cui è scaturito il Master internazionale sulla Pace e lo Sviluppo grazie al partenariato tra l’Università La Sapienza di Roma con l’Università del Santo Spirito di Kaslik e l’Università Libanese, permettendo così a 20 studenti libanesi di affrontare nell’anno accademico 2010/2011, a Beirut come a Roma, un percorso con istituzioni nazionali, internazionali e Ong. Ma è nelle varie regioni del Paese dove le ferite della guerra civile non sono del tutto rimarginate, che progetti non necessariamente imponenti, come la promozione di centri di aggregazione per gli anziani o le iniziative per favorire il ritorno degli sfollati nelle loro zone di origine (in particolare i cristiani), contribuiscono a creare o ricreare una certa connettività sociale, substrato fondamentale in cui riconoscersi come libanesi innanzitutto. La ristrutturazione e la riapertura delle storiche scale di Kobbeh che collegano alcuni quartieri di Tripoli (città rilevante sia politicamente che economicamente, nella quale albergano diversi gruppi armati) spesso in contrasto tra loro, è stato un segnale distensivo e di ordine culturale molto chiaro.

Siamo infatti nel “Paese messaggio” dalle 18 confessioni religiose, nel quale la convivenza è la condizione dell’esistenza stessa del Libano e in cui la stabilitá politica, non meno della pace sociale, implicano la ricerca di equilibrismi impegnativi; in particolare dopo gli scontri sanguinosi del 7 maggio 2008, il successivo accordo di Doha e le elezioni del giugno 2009, come dimostrano le estenuanti trattative durate cinque mesi per formare il governo del quale fa parte l’opposizione, Hezbollah compreso. Nel quale vivono nei vari campi ufficiali e non, oltre 400.000 palestinesi ai quali non è data alcuna possibilitá di lavoro e di inserimento, con frequenti episodi di scontri violenti nei campi tra i vari gruppi politici. Un paese dalle grandi previsioni di crescita economica nonostante la crisi mondiale, con un sistema bancario inespugnabile, ma dalle scarse strutture produttive territoriali, con regioni estremamente povere e dislivelli retributivi rilevanti; una sanitá con punte di eccellenza ma per lo più privata come lo è il sistema dell’istruzione. Libano che dispone peró di infinite risorse culturali, archeologiche, naturalistiche e soprattutto umane caratterizzate da un notevole dinamismo. In questo contesto, la cooperazione allo sviluppo che contrassegna una parte integrante della politica estera italiana, si è concretizzata dal 2006 ad oggi in una vasta gamma di interventi mirati e soprattutto concertati con le autoritá centrali (per primo il Consiglio per lo Sviluppo e la Ricostruzione) e locali. Per dare maggiore incisività a questa strategia, nel 2007 è stato aperto a Beirut l’Ufficio di Cooperazione UTL (Local Technical Unit) diretto da Fabio Melloni, la cui competenza si estende alla Siria, per la gestione di fondi, il coordinamento e la razionalizzazione dei progetti.  E nel gennaio 2009 è stato siglato un protocollo d’intesa tra l’Ufficio di Cooperazione allo sviluppo dell’Ambasciata, le Ong italiane, l’unitá Cimic (Civil- Military Cooperation) che fa parte del contingente italiano dell’Unifil. Rete di collaborazioni estesa anche all’Unrwa, all’Undp, Unesco. Con risultati nel merito e nel metodo, promossi dall’Ocse, fanno sapere all’Ambasciata, a pieni voti. A questo si somma la variegata programmazione sinergica dell’Ambasciata con l’ICE e l’Istituto Italiano di Cultura.

L’idea in prospettiva è quella di fare del Libano un laboratorio di sperimentazione del sistema paese, sottolinea l’Ambasciatore Checchia; non più quindi un aiuto a progetto, ma un programma nazionale di sostegno al decentramento in cui lo stato delega responsabilitá e risorse a livello periferico. E’ questo il “modello italiano” cui si cerca di dare concretezza attraverso un raccordo con l’azione di governo del Libano. Non solo capacity building quindi e non solo progetti, senza che ci sia una politica nazionale di decentramento allo sviluppo locale: che sono, queste due, le parole chiave dell’iniziativa italiana, attraverso un programma di sviluppo a lungo termine in settori fondamentali come la cultura, le risorse naturali, l’agricoltura, la sanità e i servizi sociali. Finanziando le comunità locali in tutto il Paese e a fianco delle istituzioni. Del Ministero dell’Interno libanese e della Direzione Generale per le Municipalitá, per sostenere il processo di decentralizzazione e la governance, così come dei singoli Ministeri.

Per avere un’idea di questa modalità di intervento è indicativo il pacchetto varato ad agosto per 12 nuovi progetti finanziati dalla Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Esteri per un totale di 7 milioni di euro (5.700 in dono e 1,5 in prestiti a tasso agevolato) che riguardano la decentralizzazione, l’assistenza tecnica alla riforma giudiziaria, il supporto alla formazione imprenditoriale, il sostegno al sistema nazionale di qualificazione, il miglioramento delle infrastrutture nelle municipalità dello Chouf, il contributo alla creazione di un centro specializzato nel trapianto di midollo all’ospedale pubblico Rafik Hariri, il supporto alle politiche nazionali e al sistema nazionale per la prevenzione degli incendi boschivi, l’estensione del sistema di irrigazione nella piana di Baalbeck, la conservazione del patrimonio artistico, il restauro degli affreschi romani del Museo nazionale di Beirut, il miglioramento dei servizi ospedalieri ai rifugiati palestinesi, i prestiti supplementari a tasso agevolato per la centrale di trattamento delle acque. Molti di questi interventi sono affiancati da protocolli d’intesa coi ministeri.

Ma mentre promuove la cooperazione tra potere centrale e istituzioni locali, l’Italia dialoga anche con la societá civile. L’iniziativa con Kafa è uno degli esempi; l’empowerment femminile rappresenta infatti uno dei punti nodali individuati fin dalla fine della guerra del 2006, legato com’è sia allo sradicamento della povertà (specie nelle aree rurali) che alla  partecipazione delle donne alla governance. Dopo una serie di laboratori con donne di tutte le estrazioni, la strategia italiana di pianificazione si è concretizzata nell’elaborazione delle “Linee guida di genere 2008-2010, per le attivitá di cooperazione italiana allo sviluppo in Libano” in base alle quali vengono programmati gli interventi e valutati i progetti per promuovere l’uguaglianza e rafforzare la loro capacitá di rapportarsi sia con le istituzioni locali che con tutte le organizzazioni nazionali e internazionali del settore. Nello stesso tempo, una serie di progetti hanno interessato la lotta contro la violenza sulle donne e i minori (altri progetti riguardano invece il lavoro minorile), compresi quelli nei campi palestinesi, sia l’inclusione sociale a fronte delle differenze culturali e sociali che caratterizzano la popolazione femminile. Inclusione che interessa non di meno l’ambito scolastico: i ragazzi con difficoltá di apprendimento e a quelli traumatizzati, se non mutilati, dalle esplosioni delle mine e dalla guerra. Da anni l’Italia ha avviato un progetto pilota di integrazione in dieci scuole pubbliche del Libano (attualmente con un finanziamento di un milione e mezzo di euro al Ministero degli Affari sociali e al Ministero dell’Istruzione) e parallelamente lavora per incentivare l’adozione di leggi adeguate. Col risultato che il 98% dei ragazzi con problemi fisici e psichici è inserito nelle classi regolari. E su richiesta del ministero della Sanitá e della municipalitá locale, sta finanziando la riapertura dell’ospedale psichiatrico di Al-Fanar. Questi alcuni esempi di interventi nel sociale (settore in cui l’Italia ha contribuito per un totale ad oggi di 20 milioni di euro, raccordandosi sia con il governo che con alcune iniziative Onu), come lo è il contributo alla riabilitazione dei detenuti – anche questo in partenariato con le istituzioni centrali- e il lavoro di sensibilizzazione, di pari passo con la crescente presa di coscienza da parte della societá libanese e della sua rete associativa sui diritti dei detenuti.

Occasione per avviare lo sviluppo economico e sociale del territorio, nel quale l’Italia ha investito con una programmazione a breve –attraverso il ROSS- e lungo termine, è stato l’intervento nel settore agricolo. Le aree rurali coincidono infatti con le zone più povere del Paese, tra queste il Sud (dove l’opera di sminamento, pur non ancora definitivamente conclusa, è stata fondamentale per il recupero delle colture e dei pascoli) e la Bekaa quelle maggiormente colpite dalla guerra del 2006, nelle quali si è lavorato al miglioramento del sistema di irrigazione, alla nascita di cooperative, specie quelle femminili, sull’agriturismo, alla rivalutazione e ottimizzazione delle produzioni locali creando in alcuni casi dei sistemi di filiera. Nel lungo termine invece l’Italia è impegnata a sostenere le politiche del Ministero del’Agricoltura favorendo il trasferimento di tecnologie moderne per sviluppare il settore agricolo ma anche quello della pesca, salvaguardare le foreste e incrementare l’industria agroalimentare. I programmi finanziati in questo senso (alcuni in partnership con UNDP Art Gold Lebanon) coinvolgono principalmente istituzioni internazionali e italiane, tra queste l’Istituto Mediterraneo di Agricoltura di Bari, ma anche enti ed associazioni locali di tutta Italia. Rilevanti, in un Paese ricco di acqua e foreste, gli investimenti finanziari dedicati alle risorse ambientali, idriche, al settore energetico -comprese le rinnovabili- prioritari per lo sviluppo. Agli interventi infrastrutturali sono stati affiancati progetti per la salvaguardia territoriale, di concerto coi ministeri, università e partenariati con l’Italia; nello specifico, con le università di Milano, di Como e di Trento, istituzioni come Federpesca, Arpa Lombardia, l’Associazione dei Parchi Nazionali e delle Aree protette, la Protezione civile.

Non meno rilevante e di importanza strategica per l’economia e per il Paese, il riassetto del patrimonio storico - archeologico particolarmente ricco, che oltre ad essere la certificazione a cielo aperto del legame secolare tra il Libano e l’Italia, descrive pagine di storia della civiltà mediterranea. Una miriade di siti e di architetture dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità, hanno bisogno di essere salvaguardati materialmente e sul piano normativo. Due anni fa è stato lanciato un vasto programma, il Cultural Heritage and Urban Development (72 milioni di dollari), che vede sì l’Italia tra i Paesi donatori ma anche promotrice di un’azione di supporto alle istituzioni e responsabile per la parte archeologica, il consolidamento e la gestione dei siti, forte del suo know-how in materia. Collegando la protezione del patrimonio allo sviluppo del territorio, l’Italia –che collabora con la Direzione Generale per la Pianificazione Urbana all’elaborazione dei regolamenti e principi per la conservazione dei centri storici, allo studio per il restauro degli edifici storici e allo sviluppo di un sistema integrato delle città interessate dal programma- procederà a Tripoli ad un intervento di rinnovamento urbano e recupero, col restauro di un antico mulino, e la sua trasformazione in città museo del periodo ottomano. E tra i nuovi  progetti che ricadono nel programma CHUD, parteciperà al restauro del castello di Shamaa e ad altri interventi, mettendo in campo le capacità e l’esperienza dei nostri esperti.

Questo è solo uno spaccato dell’impegno della cooperazione italiana in Libano, che si somma alla missione del contingente italiano, il più numeroso della forza Unifil nel Sud del Libano, e alle unità impiegate nella task force marittima. Le loro attività verso la popolazione sono indicate nella risoluzione Onu 1701. Ma solo nelle linee generali. Come meritano un capitolo a parte il lavoro dell’ICE, che non promuove solo scambi e fiere ma anche seminari, e quello dell’Istituto Italiano di Cultura il cui sforzo principale è anche far conoscere la cultura italiana contemporanea in Libano: la pittura, con una serie di mostre, la musica (che sarà celebrata dal festival Al-Bustan e dai migliori artisti italiani), la letteratura, con la traduzione di alcuni titoli. Non solo la Cappella Sistina, non solo il “bel canto” quindi, allo stesso modo in cui la Ferrari, come altri marchi molto amati in Libano, non è solo bella, potente ed esclusiva, ma il risultato di studio, design, alta manualità. Mentre lo studio Teknoarch dell’architetto Alberto Catalano ha vinto il concorso internazionale per la costruzione della Casa della Cultura in pieno centro a Beirut, perché, così ha decretato la giuria, il suo progetto, con le sue linee e la piazza pensile, meglio degli altri incarna lo spirito mediterraneo, il dialogo.    

Sullo stesso argomento:

http://www.daoonline.info/news_dett.asp?ID=832

 

24 gennaio 2010

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