Emanuela Ulivi 

In Libano è stato finalmente varato il nuovo governo. Il premier Saad Hariri, al suo secondo tentativo dopo che aveva gettato la spugna, ci è riuscito a cinque mesi dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento che hanno confermato la maggioranza uscente: una coalizione nata col movimento e la piazza della Rivoluzione dei Cedri, dalla quale Walid Joumblatt ha preso le distanze ad agosto assicurando comunque il suo sostegno per la formazione del governo. 

Il nuovo esecutivo è composto da quindici ministri della maggioranza, dieci dell’opposizione e cinque indipendenti nominati dal Presidente della Repubblica (tra i quali il ministro degli Interni Ziad Baroud, maronita, e il ministro della Difesa Elias Murr, greco ortodosso). 

Il governo è il frutto di una trattativa estenuante il cui nocciolo consisteva sia nella riedizione del governo uscente, il  cosiddetto governo di unità nazionale frutto degli accordi di Doha del maggio 2008, seguiti agli scontri che hanno opposto principalmente Hezbollah al partito di Saad Hariri, la Corrente del Futuro, e che hanno visto per la prima volta il Partito di Dio rivolgere le armi contro gli stessi libanesi, sia nella distribuzione dei portafogli. Una volta superata la questione del terzo dei ministri accordato all’opposizione, ovvero del potere di veto in consiglio dei ministri, si è trattato di dare sostanza alla formula del 15+5+10, matassa dipanata attraverso una lunga trattativa condotta sostanzialmente tra Saad Hariri e il generale Michel Aoun, cristiano, schierato all’opposizione con Hezbollah e capo del gruppo parlamentare del Blocco del Cambiamento e della Riforma cui sono stati attribuiti cinque ministri. Nomine delle quali lo stesso generale Aoun ha dato inedito annuncio.

Il governo è fatto e gli sforzi sono ora concentrati sulla “dichiarazione ministeriale”, ovvero sulle linee politiche e programmatiche del nuovo governo, intenzionato ad un vasto programma di riforme. Ma dai mesi trascorsi, emergono alcuni punti salienti. 

Il primo riguarda un governo che viene definito oggi non più di unità nazionale ma “di coalizione”, coalizione che accomuna i partiti di maggioranza e di opposizione –della quale fanno parte anche Amal ed Hezbollah- divisi sia nei presupposti che nelle linee programmatiche. Se è vero che tutte le comunità debbono avere una rappresentanza nel governo, è altrettanto vero che i partiti e le formazioni che maggiormente rappresentano le forze dell’opposizione hanno da Doha in poi maggior peso. O forse sarebbe più corretto dire, dal maggio 2008 in poi. La difficolta’ incontrate da Hariri in questi cinque mesi per formare il governo, sono eloquenti, non meno dell’esigenza di mantenere la pace sociale.  

Altro punto, Hezbollah ha due ministri: Hussein Hajj Hassan all’Agricoltura e Mohammed Fneich, nominato ministro di Stato con delega alla Riforma amministrativa. Anche dopo Doha il numero di ministri di Hezbollah scese da tre a uno. Questo dato apre la strada a diverse considerazioni sul ruolo di Hezbollah nella politica interna -e viceversa- del Paese nel quale il Partito di Dio è nato e in cui rivendica la sua natura di movimento di resistenza, con un’ala militare le cui armi sono concentrate in alcune zone del Libano impenetrabili. Armi usate in Libano appunto nel 2008, quando il governo ha minacciato di smantellare la sua rete di telecomunicazioni e di sostituire il capo della sicurezza dell’aeroporto della capitale Beirut. Un arsenale che non solo continua ad essere motivo di forte preoccupazione e nel mirino di Israele –che, si dice, potrebbe colpire di nuovo Hezbollah e il Libano per farsi sentire dall’Iran- ma anche della maggioranza parlamentare. La questione invece è stata di nuovo rinviata all’ennesima ripresa del tavolo di dialogo nazionale.

Ultima ma non secondaria, la rappresentanza dei cristiani, che il generale Michel Aoun dopo alcune tornate elettorali, rivendica per sé in competizione con altri esponenti. Aoun ritiene che il peso politico dei cristiani sia stato fortemente ridimensionato rispetto ad altre comunitá e, dopo che nelle elezioni del 2005 il numero dei  candidati del suo partito é stato ridotto nelle liste della coalizione che poi vinse, é passato all’opposizione. Chi rappresenta quindi i cristiani: Aoun o Amine Gemayel, “Mr. Maronite”, capo del partito Kataeb  che pur facendo parte della maggioranza lamenta un sotto dimensionamento nel nuovo governo?

Ma quale la funzione dei cristiani dopo Taef, l’accordo che ha posto fine alla guerra civile e alla predominanza dei cristiani in Parlamento, ripartendo esattamente in due i seggi tra cristiani e musulmani? A questo interrogativo non è stata data ancora risposta, tra preoccupazioni –peraltro di tutte le comunitá- di rappresentanza in un Paese basato sull’equilibrio comunitario, e istanze di abolizione del confessionalismo che ad oggi non hanno ancora trovato oltre le buone intenzioni, le condizioni culturali e politiche per decollare.

13 novembre 2009

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