Riportiamo di seguito il testo integrale del discorso che il Presidente americano Barack Obama ha tenuto lo scorso 4 Giugno all'Università del Cairo, in Egitto, rivolto a tutto il mondo arabo. “Sono onorato di essere in questa città senza tempo, Il Cairo, e di essere ospite di due rinomate istituzioni. Per oltre mille anni Al Azhar si è eretta come un faro dell'insegnamento islamico, e per oltre un secolo l'Università del Cairo è stata la fonte del progresso egiziano. Insieme, rappresentate l'armonia tra tradizione e progresso. Sono grato della vostra ospitalità, e dell'ospitalità della gente d'Egitto. Sono inoltre orgoglioso di portare con me la buona volontà del popolo americano, e un saluto di pace per le comunità musulmane del mio paese: Assalaamu alaykum.

Ci incontriamo in un momento di tensione mondiale tra Stati Uniti e musulmani, una tensione che affonda le radici in forze storiche assai ardue da affrontare in un normale dibattito politico. La relazione tra Islam e Occidente racchiude secoli di coesistenza e cooperazione, ma anche conflitti e guerre di religione. Più di recente, la tensione è stata alimentata dal colonialismo, che ha negato diritti e opportunità a tanti musulmani, e dalla Guerra Fredda, nella quale i paesi a maggioranza musulmana sono stati troppo spesso trattati come scudieri, senza alcun riguardo per le loro legittime aspirazioni.
Per di più, il cambio radicale portato dalla modernità e dalla globalizzazione ha portato molti musulmani a vedere l'Occidente come un nemico delle tradizioni islamiche. Estremisti violenti hanno sfruttato questi attriti, facendoli attecchire in una piccola ma potente minoranza di musulmani. Gli attacchi dell'11 settembre 2001 e i continui tentativi di questi estremisti di portare violenza contro i civili hanno portato alcuni miei connazionali a guardare all'Islam come a un inevitabile nemico non solo dell'America e delle nazioni occidentali, ma anche dei diritti umani. Ciò ha ulteriormente alimentato paura e diffidenza. Fino ad ora le nostre relazioni sono state definite marcando le nostre differenze, abbiamo appoggiato coloro che seminavano odio piuttosto che pace, coloro che promuovevano il conflitto piuttosto che una cooperazione che possa aiutare tutta la nostra gente a ottenere giustizia e prosperità.

Questo ciclo di sospetto e discordia deve terminare. Sono venuto qui per cercare un nuovo inizio tra Stati Uniti e tutti i musulmani del mondo; un inizio basato sul rispetto reciproco e gli interessi in comune. Un rispetto basato sulla constatazione che America e Islam non sono realtà antitetiche, e che non hanno bisogno di essere in competizione. Al contrario, sono realtà che si sovrappongono, condividendo valori di giustizia e di progresso, di tolleranza e di dignità per ogni essere umano. Mi rendo conto che un cambiamento del genere non può avvenire in una notte. Nessun discorso può da solo sradicare anni di diffidenza, né posso spiegare nel tempo a mia disposizione tutti i complessi motivi che ci hanno portato a questo punto. Ma sono convinto che per andare avanti dobbiamo esprimere apertamente quel che abbiamo nel cuore, e che troppo spesso è detto solo nel privato di una casa. Deve esserci un impegno continuo nell'ascoltarci l'un l'altro, per imparare a vicenda, per rispettarci, per cercare un terreno comune.

E così, in questo spirito, lasciatemi parlare nel modo più chiaro possibile di alcuni punti sui quali ritengo sia giunto il momento di confrontarci. Il primo punto è l'estremismo violento, in tutte le sue forme. Ad Ankara ho chiarito che l'America non è, né lo sarà mai, in guerra con l'Islam. Nondimeno, ci opporremo senza risparmio contro gli estremisti che rappresentano un grave pericolo per la nostra sicurezza. Perché noi rifiutiamo quello che rifiutano le persone di tutte le fedi: l'uccisione di uomini, donne e bambini innocenti. E il mio primo dovere da presidente è quello di proteggere il popolo americano. La situazione in Afghanistan sta lì a dimostrare quali siano gli obiettivi dell'America, e il bisogno che abbiamo di lavorare insieme. Sono passati più di sette anni da quando gli Stati Uniti, con un vasto supporto internazionale, hanno fatto la guerra ad al Qaeda e ai talebani. Non lo abbiamo fatto per scelta, lo abbiamo fatto perché non c'era altro da fare.

So bene che alcuni mettono in dubbio o giustificano quel che è accaduto l'11 settembre. Ma bisogna essere chiari: quel giorno, al Qaeda uccise quasi 3.000 persone. Le vittime furono uomini, donne e bambini innocenti, dell'America e di tanti altri paesi, che non avevano mai fatto del male a nessuno. Eppure al Qaeda decise di uccidere brutalmente queste persone, rivendicò quell'attacco, e ancora lancia promesse di grandi stragi. Hanno seguaci in molti paesi e stanno cercando di allargare il loro campo d'azione. Non sto esprimendo opinioni su cui si possa o meno essere d'accordo. Sto esponendo fatti con i quali bisogna confrontarsi. Non si facciano errori: noi non vogliamo tenere nostri soldati in Afghanistan. Non vogliamo basi lì. E' atroce per l'America perdere i suoi giovani uomini, le sue giovani donne. E' costoso e politicamente difficile continuare quella guerra. Saremmo felici di riportare a casa ogni nostro soldato se potessimo essere sicuri che in Afghanistan o in Pakistan non ci fossero estremisti determinati a uccidere quanti americani sia possibile uccidere. Purtroppo questa situazione ancora non esiste. E' per questo che ci troviamo a capo di una coalizione che conta quarantasei paesi. E nonostante il costo pagato, l'impegno dell'America non si sta indebolendo.

La verità è che nessuno di noi può tollerare questi estremisti. Hanno ucciso in molti paesi. Hanno ucciso gente di credo diversi; e più di tutti, hanno ucciso musulmani. Le loro azioni sono inconciliabili con i diritti degli esseri umani, il progresso delle nazioni, e con l'Islam. Il Corano insegna che chi uccide un innocente è come se uccidesse l'intera umanità, e chiunque salvi una persona è come se salvasse l'intera umanità. Ma la fede profonda di più di un miliardo di persone è tanto più grande del meschino odio di pochi. L'Islam non è parte del problema di combattere l'estremismo violento, è un fattore importante per portare alla pace.
Sappiamo anche che la potenza militare da sola non risolverà i problemi dell'Afghanistan o del Pakistan. E' per questo che abbiamo programmato di investire 1,5 miliardi di dollari ogni anno per i prossimi cinque anni per collaborare con i pachistani alla costruzione di scuole, ospedali, strade e imprese, e centinaia di milioni per aiutare coloro che hanno dovuto abbandonare la propria terra. Ed è per questo che stiamo stanziando più di 2,8 miliardi di dollari per aiutare gli afgani a sviluppare la loro economia e fornire tutti quei servizi di cui la gente ha bisogno.
Lasciatemi affrontare anche l'argomento Iraq. A differenza dell'Afghanistan, l'Iraq è stata una guerra voluta, che ha provocato forti dissociazioni nel mio paese e nel mondo. Sebbene creda che il popolo iracheno viva meglio adesso che non si trova più sotto la dittatura di Saddam Hussein, credo anche che i fatti iracheni abbiano ricordato all'America la necessità di usare la diplomazia e costruire un consenso internazionale per risolvere i problemi, tutte le volte che sia possibile.

Ho detto chiaramente al popolo iracheno che non cerchiamo basi nel loro paese, né abbiamo rivendicazioni sul loro territorio o sulle loro risorse. La sovranità irachena è cosa che appartiene agli iracheni. E' per questo che ho ordinato il ritiro delle nostre unità da combattimento a partire da agosto. E' per questo che onoreremo il nostro accordo con il governo iracheno democraticamente eletto, di ritirare le nostre truppe combattenti dalle città irachene entro luglio, e di ritirare tutte le nostre truppe entro il 2012. Aiuteremo l'Iraq ad addestrare le sue forze di sicurezza e a sviluppare la sua economia. Ma lo appoggeremo in quanto partner, mai in quanto servo.
In ultimo, dato che l'America non potrà mai tollerare la violenza degli estremisti, non dobbiamo mai cambiare i nostri principi. Il 9 settembre è stato un trauma enorme per il nostro paese. La paura e la rabbia che ha provocato sono comprensibili, ma in certi casi ci ha portato a comportamenti contrari ai nostri ideali. Stiamo prendendo misure concrete per cambiare le cose. Ho personalmente vietato l'uso della tortura da parte degli Stati Uniti, e la chiusura della prigione di Guantanamo entro l'anno prossimo. Così l'America si difenderà nel rispetto della sovranità delle nazioni e delle regole della legge. E lo faremo in collaborazione con le comunità musulmane che sono anch'esse minacciate. Prima gli estremisti verranno isolati e rifiutati dalla comunità musulmana, prima saremo tutti salvi.

La seconda maggior causa di tensione di cui dobbiamo discutere è la situazione che esiste tra Israele, palestinesi e mondo arabo. I forti vincoli dell'America con Israele sono ben noti. Questi vincoli sono infrangibili. Sono basati su legami culturali e storici, e il fatto che l'aspirazione degli ebrei ad avere una patria abbia origine in una tragedia della storia non può essere negata. In tutto il mondo il popolo ebraico è stato vittima di persecuzioni, per secoli, e l'antisemitismo, in Europa, culminò in un olocausto senza precedenti. Domani visiterò Buchenwald, che fu parte di una rete di campi nei quali gli ebrei vennero resi schiavi, torturati, fucilati e uccisi nelle camere a gas dal Terzo Reich. Vennero uccisi sei milioni di ebrei, più di quanti ne conti l'attuale popolazione di Israele. Chi nega quei fatti mente o è ignorante, e semina odio. Minacciare Israele di distruzione, o ripetere stolti stereotipi antisemiti, è profondamente sbagliato, e serve solo a rievocare nelle mente degli israeliani i più atroci ricordi e a impedire il raggiungimento della pace che la gente di quella regione merita.
D'altra parte, è altrettanto indiscutibile che il popolo palestinese "musulmani e cristiani" abbiano sofferto nella ricerca di una patria. Per più di sessant'anni hanno sopportato la pena di essere stati sloggiati dalla propria terra. Molti aspettano nei campi profughi della West Bank, di Gaza e delle zone vicine per una vita in pace e sicurezza che, finora, non sono mai riusciti ad avere. Provano le umiliazioni quotidiane, grandi e piccole, che provengono inevitabilmente da un'occupazione. Che non ci siano dubbi: la situazione, per il popolo palestinese, è intollerabile. L'America non volgerà le spalle alla legittima aspirazione dei palestinesi alla dignità, a un'opportunità, a uno stato loro. Per decenni, c'è stato uno stallo: due popoli con legittime aspirazioni, entrambi con alle spalle una storia durissima che rendeva improbo arrivare a un compromesso. E' facile puntare il dito: per i palestinesi, contro la cacciata dalla propria terra arrivata con la fondazione di Israele, per Israele contro la costante ostilità e i continui attacchi contro i suoi confini e anche oltre.

Ma se guardiamo a questo conflitto prima da una parte, poi dall'altra, non possiamo che restare accecati dalla verità: la sola soluzione affinché le l'aspirazioni di entrambe le parti siano esaudite è la creazione di due stati, dove israeliani e palestinesi possano vivere in pace e tranquillità. Ciò nell'interesse di Israele, della Palestina, dell'America, e del mondo. E' per questo che io intendo perseguire personalmente un tale traguardo, con tutta la pazienza e la perseveranza che un impegno del genere richieda. Gli impegni assunti dalle due parti con la Road Map sono chiari. Perché venga la pace, è tempo per loro "e per tutti noi" di onorare le rispettive responsabilità. I palestinesi devono mettere da parte la violenza. La resistenza attraverso violenza e uccisioni è sbagliata e non ha successo. Per secoli, i neri d'America hanno sofferto la frusta come schiavi, e l'umiliazione della segregazione razziale. Ma non fu la violenza a ottenere il pieno riconoscimento dei loro diritti. Fu una pacifica e determinata affermazione degli ideali che sono alla base della fondazione dell'America. La stessa storia può essere raccontata dalla gente del Sudafrica, dell'Asia del sud, dell'Europa dell'est o dell'Indonesia. E' una storia che contiene una semplice verità: la violenza è un vicolo cieco. Non è un segno di coraggio né di forza sparare dei razzi su bambini che dormono, o far esplodere donne e bambini su un autobus.
Non è così che si può rivendicare un'autorità morale; piuttosto, è un modo di arrendersi.

Adesso è tempo per i palestinesi di concentrarsi su quello che si può costruire. L'Autorità palestinese deve sviluppare la propria capacità di governare, con istituzioni che servano ai bisogni della popolazione. Hamas gode dell'appoggio di una parte dei palestinesi, ma anch'essa ha delle responsabilità. Per giocare un ruolo nel realizzare le aspirazioni palestinesi e unificare il popolo, Hamas deve porre fine alla violenza, riconoscere gli accordi siglati e accettare l'esistenza di Israele. Allo stesso tempo, gli israeliani devono riconoscere che come il diritto di Israele all'esistenza non può essere negato, così non può essere negato il diritto d'esistere della Palestina. Gli Stati Uniti non accettano gli insediamenti israeliani. Queste costruzioni violano precedenti accordi e compromettono gli sforzi per arrivare alla pace. E' tempo di fermare questi insediamenti. Israele deve inoltre rispettare l'impegno di assicurare ai palestinesi la possibilità di vivere, lavorare e sviluppare la loro società. E come devasta le famiglie palestinesi, così la persistente crisi umanitaria di Gaza non aiuta la sicurezza israeliana; né la aiuta la continua mancanza di opportunità per chi vive in Cisgiordania. Il progresso nella vita di ogni giorno dei palestinesi deve essere parte integrante della strada verso la pace, e Israele deve fare passi concreti per rendere possibili questi progressi.

Infine, gli stati arabi devono riconoscere che l'Iniziativa di pace araba è un importante inizio, ma non mette fine alla loro responsabilità. Il conflitto arabo-israeliano non deve essere più usato per distrarre la gente araba da altri problemi. Al contrario, deve essere uno sprone ad agire per aiutare i palestinesi a sviluppare le istituzioni con le quali strutturare il loro stato; per riconoscere la legittimità di Israele; e per scegliere il progresso invece di una conservazione perdente. L'America collaborerà con coloro che cercheranno la pace, e dirà in pubblico quel che dirà in privato a israeliani, palestinesi e arabi. Non possiamo imporre la pace. Ma, in privato, tanti musulmani riconoscono che Israele non se ne andrà via. Similmente, tanti israeliani riconoscono la necessità di uno stato palestinese. E' tempo di agire per fare quello che tutti noi sappiamo essere il giusto. Troppe lacrime sono sgorgate. Troppo sangue è stato versato. Tutti noi abbiamo la responsabilità di lavorare affinché le madri degli israeliani e dei palestinesi possano vedere i propri bambini crescere senza paura, quando la Terra Promessa di tre grandi fedi sarà il luogo di pace che Dio ha voluto che fosse, quando Gerusalemme sarà una casa sicura e accogliente per ebrei, cristiani e musulmani, e un luogo dove tutti i figli di Abramo possano mescolarsi tra loro pacificamente come nella leggenda di Isra, in cui Mosè, Gesù e Maometto "la pace sia con loro" si uniscono in preghiera.

La terza causa di tensione è l'interesse comune nei diritti e doveri delle nazioni che dispongono di armi nucleari. Questo argomento è stato causa di attriti tra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica dell'Iran. Per molti anni, l'Iran si è caratterizzato per l'ostilità al mio paese, e c'è ancora una storia tumultuosa tra di noi. Nel pieno della guerra fredda, gli Stati Uniti giocarono un ruolo nel rovesciamento di un governo iraniano democraticamente eletto. Sin dalla rivoluzione islamica, l'Iran ha avuto un ruolo nella presa di ostaggi e nella violenza contro truppe o civili americani. E' una storia ben nota. Piuttosto che restare intrappolati nel passato, ho fatto chiaramente intendere ai capi e alla gente d'Iran che il mio paese è pronto ad andare avanti. La questione, adesso, non è tanto ciò cui l'Iran è contrario, quanto quale futuro voglia costruire. Sarà dura superare decenni di diffidenza, ma procederemo con coraggio, rettitudine e risolutezza. Ci saranno molte cose da discutere tra i nostri due paesi, e siamo decisi ad andare avanti senza preconcetti sulla base del rispetto reciproco. Ma è chiaro che quando si arriva al problema nucleare, si tocca un punto decisivo. Non si tratta solo degli interessi dell'America.
Si tratta di prevenire una corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente, che potrebbe portare la regione e tutto il mondo su una china assai pericolosa. Capisco le proteste di chi osserva che alcune nazioni hanno la bomba e altre no. Nessuna nazione dovrebbe, da sola, scegliere chi può possedere armi atomiche e chi no. E' per questo che ho affermato con forza l'impegno dell'America per un mondo in cui nessuna nazione possegga armi atomiche. E ogni nazione "anche l'Iran" dovrebbe avere il diritto di accedere all'energia nucleare pacifica qualora rispetti gli impegni contenuti nel trattato di non proliferazione. Quell'impegno è il nocciolo del trattato, e deve essere difeso da tutti quelli che lo hanno sottoscritto. Spero che tutti i paesi dell'area condividano questo obiettivo.
Il quarto tema di cui voglio parlare è la democrazia. So bene che ci sono state discussioni sul modo in cui la democrazia è stata promossa in questi ultimi anni, e gran parte delle discussioni ha a che fare con la guerra in Iraq. Dunque, lasciatemi essere chiaro: nessun sistema di governo può o deve essere imposto con la forza da una nazione su un'altra. Ciò nulla toglie, tuttavia, al mio impegno verso i governi che riflettono il volere del popolo. Ogni nazione realizza questo principio a proprio modo, secondo le tradizioni della propria gente. L'America non presume di sapere quello che è bene per ciascuno, come non presumiamo di scegliere l'esito di un'elezione pacifica. Però credo fermamente che chiunque pretenda alcune cose: la possibilità di parlare liberamente e poter dire la propria sul modo in cui si è governati; avere fiducia nella legge; un'equa amministrazione della giustizia; un governo trasparente che non derubi il popolo; la libertà di vivere come si preferisce. Non si tratta di idee americane, si tratta di diritti umani, ed è per questo che li sosteniamo dappertutto. Non c'è un modo preciso per realizzare questa promessa. Ma una cosa è chiara: i governi che garantiscono questi diritti sono più stabili, efficaci e sicuri. Sopprimere le idee non fa mai andare troppo lontano.
Il quinto argomento di cui dobbiamo parlare è la libertà religiosa. L'Islam ha un'orgogliosa tradizione di tolleranza. Lo abbiamo visto in Andalusia e a Cordoba, durante l'Inquisizione. L'ho visto di prima mano quando ero bambino in Indonesia, dove devoti cristiani pregavano liberamente in una nazione con una schiacciante maggioranza musulmana. E' questo lo spirito di cui abbiamo bisogno oggi. La gente di ogni paese deve essere libera di scegliere e vivere la propria fede secondo quanto dice la mente, il cuore, l'anima di ognuno. Questa tolleranza è essenziale perché la religione cresca e prosperi, ma è ostacolata in molti modi diversi. La ricchezza della diversità religiosa deve essere preservata, che si tratti dei maroniti in Libano o dei copti in Egitto. E i contrasti devono terminare anche tra gli stessi musulmani, tra i quali la rivalità tra sciiti e sunniti è sfociata in tragiche violenze, soprattutto in Iraq.

La libertà di religione è fondamentale per la convivenza pacifica. Dobbiamo sempre esaminare i modi in cui la proteggiamo. Per esempio, negli Stati Uniti le leggi sulle donazioni benefiche hanno reso più difficile per i musulmani rispettare i propri impegni religiosi. E' per questo che mi sono impegnato con i musulmani d'America affinché possano compiere con lo zakat. Allo stesso modo, è importante per le nazioni occidentali evitare di impedire ai cittadini musulmani di praticare la loro religione come essi credono ? per esempio, decidendo quali abiti una donna musulmana debba indossare. Non possiamo nascondere l'ostilità verso una religione dietro una facciata di liberalismo. Invece, la fede deve unire. Per questo stiamo costruendo in America progetti che portino insieme cristiani, musulmani ed ebrei. E' per questo che plaudiamo a sforzi come quello del re saudita Abdullah, il dialogo interconfessionale, e la leadership turca nell'Alleanza delle civiltà. In tutto il mondo possiamo trasformare il dialogo in un 'iniziativa legata all'iniziativa di re Abdullah, ed è così che i ponti gettati tra popoli diversi portano ad azioni virtuose che si tratti di combattere la malaria in Africa, o portare conforto dopo un disastro naturale.
Il sesto tema che voglio affrontare sono i diritti delle donne. Lo so che si tratta di un argomento assai dibattuto. Rifiuto l'idea di qualche occidentale, secondo cui una donna che sceglie di coprirsi i capelli è in qualche modo meno uguale, però credo che una donna a cui sia negata un'educazione sia una donna cui è negata l'uguaglianza. E non è una coincidenza che i paesi dove le donne sono educate meglio, sono quelli che hanno di gran lunga le migliori prospettive di prosperare. Lasciatemi essere chiaro: il problema dell'eguaglianza della donna non è affatto un problema soltanto dell'Islam. In Turchia, Pakistan, Bangladesh e Indonesia abbiamo visto paesi a maggioranza musulmana scegliere una donna come capo. Nel frattempo, la lotta per l'uguaglianza delle donne continua in molti aspetti della vita americana, e in tante altre nazioni. Le nostre figlie possono contribuire al progresso della società quanto i nostri figli, e la nostra prosperità comune sarà portata avanti permettendo a tutta l'umanità "uomini e donne" di sviluppare le proprie potenzialità.

I temi di cui ho parlato non sono facili da affrontare. Ma abbiamo la responsabilità di unirci insieme, in nome del mondo a cui aspiriamo: un mondo senza estremisti che minaccino la nostra gente, e dove le truppe americane sono tornate a casa; un mondo dove israeliani e palestinesi vivano sicuri, gli uni e gli altri in uno stato tutto loro, e l'energia nucleare sia usata solo a scopi pacifici; un mondo dove i governi siano al servizio dei cittadini, e i diritti di tutti i bambini di Dio siano rispettati. Si tratta di interessi comuni. E possiamo raggiungerli soltanto se siamo uniti. So che molti "musulmani e non musulmani" sono scettici circa la possibilità di forgiare questo nuovo inizio. Alcuni ambiscono a ravvivare la fiamma della diversità, e vogliono mettersi di traverso alla strada che conduce al progresso. Altri sostengono che si tratta di uno sforzo inutile, che siamo destinati a non trovare un accordo, e che civiltà distinte sono destinate a scontrarsi.
Molti altri sono semplicemente scettici circa la possibilità che avvenga un cambio di questa portata. C'è tanta paura, tanta diffidenza. Ma se scegliamo di restare legati al passato, non andremo mai avanti. E questo lo voglio dire specialmente ai giovani, di qualunque religione, di qualsiasi paese: tu, più di chiunque altro, hai la possibilità di cambiare questo mondo. Ognuno di noi calpesta questa terra per un periodo ben breve di tempo.

Abbiamo il potere di creare il mondo cui aspiriamo, ma solo se abbiamo il coraggio di iniziare di nuovo, tenendo in mente ciò che è già stato scritto. Il Corano dice: "Oh umanità! Abbiamo creato voi, maschio e femmina; abbiamo creato voi, nazioni e tribù, così che possiate conoscervi l'un l'altro". E il Talmud recita: "L'intera Torah è consacrata allo scopo di promuovere la pace". La Sacra Bibbia afferma: "Benedetti i portatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio". La gente del mondo può vivere insieme e in pace. Sappiamo che è la visione di Dio. Adesso, deve essere il nostro lavoro sulla terra. Grazie. E la pace di Dio possa essere con voi.”

10 giugno 2009

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