Giulia Brugnolini 

Un’italiana convertita all’Islam nel 1999 racconta una storia, la sua, che parla della forza di una fede che sa vincere i confini degli Stati e quelli, più difficili da valicare, culturali.

"Dalle sfilate di moda al velo... una musulmana italiana", il libro di Cinzia Rodolfi - che dopo la conversione prenderà il nome di Aicha- edito da Edizioni Al Hikma di Imperia nasce dal bisogno di ripercorrere il lungo viaggio che dalle sfilate di moda nel milanese, passando per il turismo commerciale, l’ha portata a "ritornare all’islam". Quest’ultima espressione, come spiega la Rodolfi, si basa su una tradizione risalente a Maometto secondo la quale ogni bambino nasce musulmano (cioe’ sottomesso a Dio), sono i suoi genitori che ne fanno poi un israelita, un cristiano o uno zoroastriano; quindi la religione islamica considera l’adesione all’Islam un "ritorno" alla condizione naturale dell’essere umano.

Innamoratasi e dopo poco tempo sposatasi civilmente con un giovane tunisino, Cinzia non arriva alla fede musulmana per amore o per volere del marito - nonostante la protagonista interpreti questo avvenimento come prima tappa del percorso voluto per lei da Allah - ma perché, dopo la morte del padre, si e’ messa alla ricerca di una spiritualità più completa, di una vita realmente pervasa da Dio e dalla devozione per lui, fattori che riesce a trovare soltanto nell’Islam, insinuatosi timidamente in lei dopo una visita alla moschea.

Nel libro, l’autrice ripercorre le tappe della sua conversione, dal primo Ramadan all’amicizia con le altre donne della comunità islamica di Milano. Ma questa autobiografia di Cinzia assume particolare importanza per l’approfondimento del rapporto tra donne e Islam quando racconta della sua libera scelta di portare ilhijab, il velo islamico che copre capelli, collo e orecchie, lasciando scoperto il viso. Dopo la "scoperta" e lo studio del Corano, Cinzia sente infatti il bisogno di mostrare la sua devozione ad Allah non soltanto nei pensieri ma anche nelle opere: oltre che essere un precetto scritto nei testi sacri, il velo è per lei un involucro che valorizza il contenuto, non per rendere "schiava" la donna ma, al contrario, per liberarla dall’obbligo dell’apparenza. Questa vera e propria apologia della scelta della donna musulmana si rafforza proprio con la disapprovazione di amici e colleghi occidentali. Cinzia, che fin da giovanissima aveva usato il suo corpo per ritagliarsi un posto nella società occidentale si è poi accorta di quanto quest’ultima sia legata soltanto alle apparenze. A nessuno , infatti, interessava che avesse abbracciato l’Islam, l’importante era che non lo desse a vedere. "Io penso che oggi ci sia un tale plagio sulle donne - scrive - che devono assolutamente mostrarsi ed essere in forma perfetta, che esse non si rendono più conto dello svilimento di loro stesse come esseri intelligenti per divenire solo oggetti di godimento agli occhi degli uomini." "Difficilmente, oggi" ,continua la biografia, "un uomo mi guarda e se lo fa è certamente in modo più pudico ed educato, io stessa ho notato un maggior rispetto da parte dell’altro sesso."

Un’autobiografia che intende farsi guida per i musulmani occidentali, per tutti coloro che si avvicinano a questa fede ma anche per i musulmani arabi che, non essendo "ritornati" all’Islam ma avendolo accettato come fede e come cultura, possono aver dimenticato la forza di questo "puro monoteismo". Essere occidentali musulmani - ed i convertiti sono sempre di più - racchiude, dice Cinzia, molte difficoltà perché per esempio l’etica e la morale sono differenti e i messaggi devianti tendono ad allontanarci dal nostro Islam. "Chiaramente", prosegue, "è più facile vivere rettamente nel deserto che in una città con mille tentazioni". Ma evidenzia anche un dato: "Ogni musulmano occidentale sarà positivamente scevro da quegli influssi culturali che molti arabi scambiano per precetti religiosi (errore che porta a radicalizzazioni dannose)".

Aicha si dedica oggi alla da’wa cioè alla divulgazione del messaggio corretto dell’islam, un’opera di informazione e di acculturazione. Traduce libri sull’Islam dall’inglese, ha scritto per il giornale "Famiglia Musulmana" edito a Roma da Nizar Ramadan, poi sul web per i siti "islam-online.it" e "Mondo Islam". Con l’amica Besma e altri compagni nella fede ha fondato l’associazione culturale Street da’wa (associazione presente nelle sagre e feste popolari con dei gazebi informativi), dal nome da’wa bi ikhlas, ovvero da’wa che vuol dire "divulgazione" e bi ikhlas "pura per Dio" , rispecchiando l’esigenza di non adulterare quest’opera con la ricerca di gloria e vanità.
 

5 luglio 2012

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