Margherita Calderoni 

Sarebbe stato Alessandro Magno a chiamarla così, a detta di Aristobulo, perché gli ricordava l’omonima isola del Mar Egeo dove l’audace figlio di Dedalo si sfracello’. In effetti la forma dell’isola potrebbe con un po’ di fantasia ricordare un’ala, piatta e dorata nel vasto blu non del cielo ma del mare. Probabile che Alessandro non ci mettesse neanche piede, ma forse il suo generale Niarchos si e i ritrovamenti ellenistici confermano la presenza di una cittadella-fortezza creata forse per lo scalo della flotta greca diretta in India.

Dopo tutto l’isola pare fosse nota come “Ilha de aguada” anche nelle mappe portoghesi del 1700 e l’acqua era indispensabile per il rifornimento delle navi in transito. E anche se ora appare come un deserto piatto, antiche foto di mandrie che pascolano, appezzamenti di coltivazioni e la presenza di pozzi confermano come questa isola di 25mq a 20Km dal Kuwait e 50 dall’Iraq sia stata un luogo strategico con floridi insediamenti fin dall’Età del Bronzo. I primi scavi a testimonianza di ciò furono effettuati nel 1958 da una squadra di archeologi danesi che erano a scavare in Barhein alla ricerca della mitica Dilmon, nominata nelle storie di Gilgamesh e datata al III sec BC. Chiamati a vedere se emergevano prove che Failaka corrispondesse all’isola che Arrio meglio descrisse, con riferimenti a templi e santuari dedicati a Febo, Artemide e Poseidone, poi rinvenuti davvero, i danesi realizzarono che effettivamente il posto poteva riservare sorprese interessanti. Già nel 1937 fu rinvenuta per caso una pietra con iscrizione greca, che come tanti altri materiali di riporto stava per essere usata nella costruzione di una casa. Sulla pietra, conservata oggi al Museo nazionale, si legge chiaramente che tale “Soteles, cittadino di Atene, e i soldati di stanza in loco dedicavano in onore di Zeus, Poseidone e Artemide.” Insomma i greci c’erano passati, avevano eretto templi e santuari e la scoperta mise in moto una certa curiosità culturale. Fra l’altro questa iscrizione fu trovata a ridosso della residenza estiva dello sceicco Ahmad, sopra un’altura che si affaccia su un interessantissimo villaggio dell’età del bronzo, scavato successivamente.

Failaka, nominata in mappe successive anche come Filiki Ikaros, cioè l’ospitale e amichevole Ikaro appunto per i suoi pozzi d’acqua, si trovava vicino alla Sumeria Mesopotamica, a cui il regno di Dilmon era stato associato, e niente di più probabile che fosse una tappa obbligata per navi mercantili. E mentre in Barhein gli archeologi danesi dovevano scavare a fondo per ritrovamenti di vetusti cocci, a Failaka c’era solo da chinarsi e raccoglierli da terra, gli stessi identificati del periodo o provenienza Babilonese. Insomma valeva la pena di dare un’occhiata a quest’isola,dove identificarono evidenze di due civilizzazioni a distanza di 2000 anni: la prima appunto l’età del Bronzo (di Abramo), la seconda ellenistica (di Alessandro Magno). Altra scoperta degna di nota fu un possibile legame fra Maqam Al Khidhir, rudimentale edificio dove le donne si recavano a invocare figli, e un piu’ antico santuario dedicato a Ishtar, dea mesopotamica della fertilità. Intorno si notarono pure tracce di necropoli con molti vasi rotti, il che potrebbe riportare alla mente Tanit, altra rappresentazione di Ishtar, e i suoi riti funebri, come si trovano anche in Sardegna. Questa isola vanta inoltre famose Tombe dei Giganti e, nel suo piccolo, anche Failaka ne ha una dove la distanza fra capo e piedi è di circa 3 metri. A giustificazione di una tradizione orale che vuole l’isola un tempo abitata appunto da giganti. Forse i “popoli del mare” tra cui figurano Achei, Danai, Teucri, Shardana, Filistei, tutti grandi e grossi rispetto ai locali, vedi il Golia di biblica memoria.

Gli scavi portarono alla luce reperti del 2000/2500 BC, fra cui 400 bellissimi sigilli. Probabilmente incisi in loco, rappresentano animali, alberi, figure umane e figure geometriche di sconcertante precisione e bellezza, specie quelli circolari e cilindrici riferibili al periodo Dilmon del Barhein. Alcuni di questi sigilli erano probabilmente il “marchio” di riconoscimento di un certo mercante per una data mercanzia, un modo di identificazione personale. E poi scarabei egiziani a conferma di contatti commerciali, giare, utensili, armi, gioielli e monete. Particolarmente importanti le 13 monete d’argento di periodo ellenistico, quasi tutte tetradracme del periodo del re siriano Antioco III che governò l’impero seleucide dal 223 al 187 BC. Piuttosto rare, queste monete sono state attribuite alla tribù araba dei Minaei stanziata a nord di Aden. Al periodo ellenistico risalgono raffigurazioni di Afrodite, statuette votive, lucerne, utensili, altre statuette di regnanti e una testina in cui è riconoscibile l’effige di Alessandro. Ma la scoperta più emozionante avvenne nel 1960 con una stele greca che un tempo doveva essere murata nel basamento del tempio di Artemide, che veniva alla luce quello stesso anno. “ Anaxarchos saluta gli abitanti di Ikaro” si legge nella prima delle 44 righe. Difficile da tradurre tratta comunque di disposizioni di pubblica amministrazione, compresa l’esenzione dalle tasse degli abitanti. Durante il periodo islamico l’isola divenne un’ importante tappa per i pellegrinaggi e fra i diversi ritrovamenti dell’epoca spiccano le rovine di un castello quadrato con torri angolari risalente ai primi dell’800, oltre a varie piccole moschee. Più notevole forse il passaggio cristiano e giusto una spedizione dell’università di Perugia trovò traccia di una chiesa maronita e una bella croce d’oro, conservata nel museo nazionale. “Durante la recente invasione irachena”, informa Mr Khaled, supervisore degli scavi e coordinatore delle squadre archeologiche “il museo è stato saccheggiato e in particolare la croce fu bruciata in un falò barbarico. Ma non si è distrutta e ora è in restauro, come molti altri reperti, quelli non trafugati”. Da quel momento l’isola è disabitata e le rovine del prospero villaggio di pescatori, artigiani e agricoltori fanno un triste contrasto alle rovine dei siti archeologici. Questi sono tuttora chiusi al pubblico, ma si animano da novembre a marzo quando gruppi di studiosi da tutto il mondo si alterna per continuare a scavare.

Particolarmente attivi francesi, croati, greci, cechi, a cui sono assegnati specifici lotti su cui lavorare. Il luogo di accoglienza è molto grande e confortevole, l’unico edificio integro visibile per parecchi kmq oltre alla residenza estiva dello Sceicco Ahmad, restaurata per un futuro museo etnico. La popolazione di Failaka, 5000 persone trasferite sulla terraferma dal 1991, si distingueva infatti dal retaggio beduino e mercantile dei kuwaitiani. Soprattutto pescatori di perle e costruttori di barche, oltre che contadini nel periodo fertile dell’isola, non tenevano le loro donne velate di nero e chiuse in casa. Indispensabili per salare e seccare il pesce, oltre che trasportare l’acqua dai pozzi,seguivano gli uomini sulla piaggia e li aspettavano rammendando reti o raccogliendo ogni materiale utile portato a riva dal mare, specie per cucinare o farne capanne di protezione. Anche i tappeti tessuti a mano e tipici dolci locali erano una specialità di Failaka, che comunque sta risollevandosi come resort turistico per brevi soggiorni. Negli anni 80 infatti l’isola era un ricercato approdo per i Kuwaitiani che volevano trascorrere un week-end rilassante al mare. Lungo la parte costiera piu’ verde dell’isola ci sono ancora decine e decine di cottages appunto di un noto resort, adesso chiuso e deserto a causa della guerra. Nelle vicinanze tuttavia è stato costruito un centro di attrazioni, specie per famiglie, che intende promuovere Failaka come Island of Adventure: ricostruzione del mercato, di una tenda da beduini, di un museo, contornati da giardinetti, botteghe di caffè e dolciumi, ristorante, un piccolo zoo e pista go-kart, oltre a una piscina e bungalows per pernottare costituiscono una oasi di tranquillità per chi vuole fuggire dalla caotica metropoli di Kuwait City con i suoi avveniristici grattacieli e faraonici shopping centres.

Certo non c’è piu’ il fascino di sedersi intorno ad un falò come un tempo per ascoltare vecchi cantastorie come successe allo scrittore danese Thorkild Hansen che un anno fece parte della spedizione archeologica e scrisse il libro di racconti “Seven Seal Stones” basato appunto su fantastici esseri soprannaturali di Failaka. Demoni e Geni che ricordano arpie, lamie e trolls a dimostrazione che la fantasia popolare è nutrita allo stesso modo sotto ogni latitudine. Rimane la suggestione del paesaggio e la testimonianza del passaggio di molte civiltà che, attraverso il linguaggio archeologico, parlano di cose che uniscono e non che dividono.

8 novembre 2008

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