Giulia Brugnolini 

Il  rappresentante diplomatico di Manama in Francia e ambasciatore non residente in Vaticano, Naser Al Belooshi, ha fatto appello nei giorni scorsi agli imprenditori italiani perché investano in quella da lui definita l'economia più liberalizzata del mondo arabo e che più di tutte punta sul capitale umano, mettendo in secondo piano i disordini tra la maggioranza sciita e la dinastia sunnita al potere, gli Al Khalifa, che continuano a sconvolgere il Paese.  

''Sono qui - ha spiegato il diplomatico - per rafforzare e incrementare gli scambi commerciali tra Roma e Manama, piattaforma strategica che permetterebbe di penetrare nel mercato della zona Mena (Medio Oriente e del Nord Africa), che conta 440 milioni di consumatori”.

Per questo, Al Belooshi sta anche facendo pressione affinché in Italia ci sia una rappresentanza diplomatica permanente del Bahrein, considerate le potenzialità economiche derivate da un rapporto più stretto tra i due Paesi. 

Il Bahrein però in questo momento non può dirsi un paese calmo. Sull’onda della primavera araba, già nel 2011 era esplosa la protesta degli sciiti che chiedevano le elezioni, una monarchia costituzionale e la fine delle discriminazioni religiose. Rivolta che è stata duramente repressa dal governo con il sostegno militare dell’Arabia Saudita. Anche il 15 febbraio scorso, secondo anniversario della rivolta, migliaia di manifestanti sciiti sono scesi in strada nella capitale per commemorare le vittime degli ultimi due anni - oltre ottanta - e per chiedere la liberazione dei prigionieri politici, per i quali hanno fatto appello ad Amnesty International. E recentemente, in occasione del Gran Premio di Formula 1, evento di respiro internazionale, sono continuate le proteste. Il 15 aprile, durante i preparativi del GP, è esplosa un’autobomba, nonostante il governo avesse assicurato rigide misure di sicurezza. 

''Malgrado i disordini riesplosi in questi ultimi tre mesi – ha rassicurato Al Belooshi - nessuna azienda straniera ha lasciato il Paese”. Il Bahrain, fortemente dipendente dall’importazione di materie prime, si basa sui servizi che costituiscono l'80% del Pil ed ha lanciato una strategia, Vision 2030, che mira alla diversificazione. In più il sistema scolastico e universitario del regno sono uno dei migliori dell'area. 

Con un sistema di tassazione vicino allo 0%, il piccolo stato arabo rappresenta verosimilmente un’opportunità per le imprese italiane che ad oggi hanno soltanto quattro aziende registrate in Bahrain. Una maggiore presenza italiana aumenterebbe il volume delle esportazioni, che già nel 2012, secondo i dati del Ministero degli Esteri, sono cresciute del 27% e abbasserebbe costi delle importazioni che nel 2011 sono aumentate del 93,2%.

26 aprile 2013

Vai all'inizio della pagina