Emanuela Ulivi

Dopo quello che lunedì scorso, al confine della striscia di Gaza, è stato definito un massacro, il Kuwait ha chiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dove ha presentato una bozza di risoluzione che proponeva un’inchiesta indipendente e trasparente sui massacri commessi su palestinesi disarmati. Nonostante fosse appoggiata da Gran Bretagna e Germania ha però incontrato il veto degli Usa: l’ambasciatore statunitense Nikki Haley, pur deplorando la perdita di vite umane, ha ribadito che Hamas è un’organizzazione terrorista, che ha incitato alla violenza ben prima che gli Usa decidessero di trasferire la loro ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Il Consiglio di Sicurezza, del quale il Kuwait è membro non permanente da gennaio in rappresentanza dei Paesi arabi, non è riuscito a stilare una dichiarazione condivisa e si è limitato ad invitare le parti a trattenersi.

E’ lo stesso risultato della riunione del Consiglio del 31 marzo scorso, anche allora convocata d’urgenza dal Kuwait dopo le prime vittime della campagna Marcia del Ritorno che dal 30 marzo ha portato ogni venerdì migliaia di palestinesi al confine di Gaza, per chiedere il ritorno in quello che oggi è territorio israeliano e per manifestare contro il blocco della Striscia e l’annunciato spostamento della rappresentanza Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Ad oggi i morti sono un centinaio, 61 nella sola giornata di lunedì 14 maggio, tra i quali una bambina di 8 mesi, Leila al-Ghandour, morta soffocata, e 2.200 i feriti. Israele ha dichiarato che dei 60 palestinesi uccisi – da militari e cecchini -14 stavano compiendo attentati, 14 erano militanti e che i manifestanti avevano usato centinaia di bombe rudimentali, granate e bombe incendiarie.

Nelle stesse ore, lunedì Israele festeggiava i suoi 70 anni e Ivanka Trump, accompagnata dal marito Jared Kushner, scopriva sorridente l’insegna della nuova sede diplomatica Usa a Gerusalemme. Un momento storico, per il premier israeliano Netanyahu, che i media di mezzo mondo non hanno esitato a mandare in onda insieme alle immagini da Gaza, dove il cielo nero del fumo dei copertoni bruciati era solcato dai lacrimogeni lanciati dai droni israeliani. Lo status di Gerusalemme, capitale autoproclamata di Israele e non riconosciuta internazionalmente, doveva essere oggetto di trattativa perché anche i palestinesi reclamano Gerusalemme Est come capitale del loro futuro stato.

Dispiaciuto per il veto in Consiglio di Sicurezza, l’ambasciatore kuwaitiano all’Onu Mansour al-Otaibi ha annunciato l’intenzione del suo Paese – la cui Assemblea Nazionale si è pronunciata a sostegno della causa palestinese nella ricorrenza della Nakba, la catastrofe, che coincide con la nascita dello stato di Israele - di rivolgersi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite affinché i responsabili delle uccisioni a Gaza vengano perseguiti. E ha chiesto che siano prese delle misure per proteggere la popolazione civile palestinese.

Al-Otaibi ha anche espresso la sua preoccupazione per l’operato unilaterale di Israele nei territori occupati, l’espansione delle colonie in violazione delle leggi internazionali, sottolineando che il trasferimento delle rappresentanze a Gerusalemme viola importanti risoluzioni Onu quali la 478 e la 476. Iniziative come questa, in contrasto con le leggi internazionali, minano gli sforzi per raggiungere la pace, contribuiscono ad aumentare le tensioni e minacciano di far scivolare la regione in ulteriori violenze, nel caos e nell’instabilità. La pace, ha ricordato il diplomatico kuwaitiano, comincia ponendo fine all’occupazione, sulla base delle risoluzioni Onu, e attraverso il processo di pace. Il Kuwait, ha proseguito Al-Otaibi, ha appoggiato la richiesta dei palestinesi di attivare un meccanismo internazionale come il Quartetto includendo altri partner internazionali, sotto l’egida dell’Onu. Ed ha reiterato l’appoggio del suo Paese a tutte quelle iniziative legali e pacifiche dei palestinesi, a livello nazionale e internazionale, rivolte a consolidare la sua sovranità su Al-Quds Al-Sharif, Gerusalemme, e nei territori occupati. La pace, ha affermato, deve iniziare con la fine dell’occupazione israeliana durata 51 anni, in linea con le risoluzioni internazionali; sul principio terra in cambio di pace; sulla base della road-map e dell’iniziativa araba di pace adottata da tutti i Paesi arabi nel summit di Beirut del 2002, che chiede il ritiro di Israele da tutta la Palestina occupata, dai territori della Siria e del Libano, secondo confini del 4 giugno 1967. Iniziativa che assicura siano affrontate tutte le questioni relative allo status finale, aiutando il popolo palestinese ad ottenere tutti i legittimi diritti politici, compreso il diritto all'autodeterminazione e l'istituzione di uno stato indipendente con Gerusalemme Est come capitale.

16 maggio 2018

Vai all'inizio della pagina