Emanuela Ulivi

S.A. l’emiro Sabah al-Ahmad al-Jaber al-Sabah è deceduto martedì scorso a 91 anni in una clinica del Minnesota, mentre tutto il Medioriente e il Golfo piangono la perdita di un grande mediatore, che nei decenni ha saputo dialogare per ricucire le controversie nella regione.

Anche altri Paesi, pur distanti dal Golfo, perdono un capo di stato insignito dall’ONU nel 2014 quale Leader umanitario mondiale, come lo aveva definito il presidente americano Jimmy Carter, per la rara capacità di forzare le logiche della geopolitica e chinarsi sui popoli martoriati dalla guerra e dalla fame. Ad aprile, quando il Coronavirus ha colpito l’Italia più di ogni altro paese al mondo, nell'ambito di una consistente donazione fatta all'Organizzazione Mondiale della Sanità per combattere il Coronavirus, il Kuwait ha destinato 5 milioni di dollari al nostro paese.

Asceso al trono nel 2006 alla morte dell’emiro Jaber al-Ahmad al-Sabah e dopo la desistenza del principe ereditario Saad al-Abdallah al-Sabah, sheikh Sabah al-Ahmad al-Jaber al-Sabah, già primo ministro da luglio 2003 a gennaio 2006, era stato a capo della diplomazia dell’emirato dal 1963, anno in cui il Kuwait è entrato nel novero delle Nazioni Unite, al 1992 e dal 1993 al 2006, ricoprendo anche la carica di vice primo ministro.

S.A. Sheikh Sabah era molto amato dal suo popolo, sul piano personale per la sua modestia e la sua generosità, in particolare verso i bisognosi, che ne apprezzava anche le aperture in quella che pur restando una monarchia - dove è soffiato il vento della primavera araba, fatta sfiorire anche qui - si distingue tra i paesi del Golfo per le connotazioni democratiche e le riforme in ambito economico e sociale, in particolare verso le donne, ma anche culturale.

Ministro degli esteri per 40 anni, sheikh Sabah al-Ahmad è stato molto attivo nella regione interessandosi di vari dossier; ma è durante la guerra del Golfo del 1991 che ha dimostrato la sua caratura di diplomatico, raccogliendo il sostegno internazionale alla causa kuwaitiana che ha permesso la formazione di una coalizione internazionale per liberare l’emirato dalle truppe irachene dopo l’invasione.

Attraverso una politica fatta di dialogo e di prudenza, ha contribuito a ricavare al Kuwait, posizionato geograficamente e politicamente tra l’Arabia saudita, l’Iraq e l’Iran, un ruolo specifico nella regione, mettendo al contempo al riparo la piccola monarchia petrolifera dalle dispute tra Riad e Teheran, considerato anche che il 25% della popolazione kuwaitiana è sciita. La sua scomparsa ha suscitato il cordoglio di molti capi di stato, prescindendo dalle contingenze politiche. Diventato emiro, oltre a rafforzare i legami con gli USA, sheikh Sabah al-Ahmad ha continuato la politica estera dei predecessori, caratterizzata dalla capacità di mediazione sperimentata in diversi conflitti in cui il Kuwait è stato determinante: nello Yemen, nel 1968 tra Egitto e Arabia saudita e nel 1972 tra il Nord e il Sud del Paese, in Libano durante la guerra civile e in decine di conflitti tra paesi arabi e musulmani. Si dice abbia contribuito nel 2017 anche al passaggio delle isole di Tiran et Sanafir, all’ingresso del golfo di Aqaba, dall’Egitto all’Arabia saudita.

Pur meno velleitario dei vicini, il Kuwait non ha mai avuto timore di confrontarsi con l’Arabia saudita ed ha mantenuto buone relazioni con l’Iran, teocrazia nel mirino della monarchia saudita e dei suoi alleati regionali e occidentali. E’ così che indossando i panni del mediatore, nel 2017 il Kuwait ha cercato di sanare la frattura all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo tra il Qatar, troppo amico dell’Iran, accusato di appoggiare terroristi ed estremisti, e l’Arabia saudita, affiancata dagli Emirati e da altri paesi che al Qatar imposero il blocco aereo e marittimo. Sforzo diplomatico per il quale il presidente Trump nei giorni scorsi ha voluto conferire all’emiro, ricoverato da luglio negli USA, la Legione al merito. Nel dare la notizia della scomparsa, Al Jazeera, emittente del Qatar, titola Il GCC ha perso una voce di saggezza.

Con S.A. l’emiro Sabah al-Ahmad al-Jaber al-Sabah scompare, come ha dichiarato un diplomatico europeo, “uno degli ultimi propugnatori del multilateralismo nella regione del Golfo e in Medioriente”, che non si limitava ad operare sui tavoli della politica ma investiva anche la sponda umanitaria. E’ il caso della Siria per la quale il Kuwait ha ospitato diverse conferenze di paesi donatori e nel 2013 ha versato 110 milioni di dollari all’UNHCR, il dono più consistente mai fatto all’Agenzia per i rifugiati, per aiutare i paesi arabi nei quali erano ospitati i rifugiati siriani, avendo l’emiro scelto con saggezza e coraggio, ha sottolineato il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, di operare attraverso un sistema umanitario multilaterale. Sempre a fianco del popolo palestinese e cauto sul riavvicinamento tra Israele e alcuni paesi del Golfo, attraverso il Kuwait Fund for Arab Economic Development il Kuwait ha donato 200 milioni di dollari per la ricostruzione delle case e delle infrastrutture di Gaza bombardata da Israele nel 2014. E l’Iraq, invaso dagli USA e distrutto a sua volta, dal 2003 ha ricevuto negli anni cifre consistenti dal Kuwait, dove nel 2018 in una conferenza, paesi e istituzioni per lo sviluppo si sono impegnati per 30 miliardi di dollari di aiuti. Pronto a finanziare anche i silos per il grano distrutti nell’esplosione al porto di Beirut il 4 agosto scorso, il Kuwait è presente anche qui.

Accanto ad un paese toccato dalla crisi economica e dalla necessità di riconvertire la sua economia basata sulle risorse petrolifere, alle ottime relazioni internazionali, S.A. l’emiro lascia un’altra grande eredità: l’esempio di come si costruisce la pace, con modestia e generosità.

1 ottobre 2020

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